Se dovessi pensare a un’immagine della Calabria da trasmettere come metafora della realtà socio-politica del nostro tempo opterei per quella dei suoi ponti. Tre nello specifico, anzi due ponti e un viadotto. Tre ponti di cui uno dimenticato e sconosciuto, un altro che ogni tanto rimbalza sulle pagine della cronaca e l’ultimo famosissimo ma anche futuristico, quindi inesistente. Ponti specchio di come questa regione è amministrata, ma allo stesso tempo di quanto stia poco a cuore ai suoi abitanti, sempre più lontani da una presa di coscienza oggettiva di quello che è il bene comune. Gente sempre più impegnata a perorare interessi privati, intenta a coltivare orticelli secondo quella logica del familismo amorale che, di fatto, ha determinato la marginalità della Calabria.
Ponti del diavolo: la Calabria in buona compagnia
I ponti sono strutture pensate dall’uomo per aprire nuove vie di comunicazione, superando ostacoli che s’interpongono alla continuità della viabilità. Opere d’ingegneria che, in Italia come nel resto del mondo, segnano anche mete turistiche. Perché, oltre la funzione pratica, i ponti parlano di storia, dell’evoluzione di una società. I ponti uniscono lembi di terra distanti geograficamente e avvicinano strutture sociali diverse.

Nel resto d’Italia i ponti storici più famosi, solo per citarne alcuni, sono quello di Rialto a Venezia, Ponte Vecchio a Firenze, Ponte Sant’Angelo a Roma. Nel Cosentino abbiamo il Ponte di Annibale a Scigliano, monumento nazionale di epoca romana (II sec. A.C.), il suggestivo Ponte di Tavolaria a Marzi, edificato intorno al 1592, e il famoso Ponte del Diavolo a Civita che, secondo una recente documentazione, può essere datato intorno al 1840.
In realtà ogni regione che si rispetti sembra debba avere un suo ponte del diavolo, dal Friuli al Veneto, passando per Piemonte, Toscana, Emilia, Lazio. Ognuna rivendica una leggenda che mette in relazione la capacità del demonio di costruire laddove per gli uomini è impossibile.
Griffe e fiducia cieca
Poi ci sono gli altri ponti, quelli che gli automobilisti percorrono ogni giorno. Per citarne qualcuno ricordiamo il Viadotto Italia che attraversa i comuni di Laino Borgo e Laino Castello, il Viadotto Sfalassà sull’autostrada nei pressi di Bagnara Calabra, il Viadotto Fausto Bisantis, detto anche Ponte Morandi a Catanzaro. Spesso ne ignoriamo lo stato di salute e non possiamo fare altro che fidarci del fatto che siano aperti alla viabilità.

In Calabria possiamo anche vantarci di avere un ponte griffato dal famoso architetto Santiago Calatrava. Lo hanno inaugurato nel 2018 in pompa magna con effetti speciali da far venire in mente Rutger Hauer in Blade Runner e la sua «Io ne ho viste di cose che voi umani non potreste neanche immaginarvi». Resta solo da capire la funzione di un ponte che in realtà più che a unire è riuscito a dividere una città intera, ma questa è un’altra storia.
Tre ponti simbolo della Calabria
Torniamo invece ai tre ponti simbolo della nostra realtà territoriale. E spostiamo, quindi, l’attenzione sul Ponte della Cona, costruito sul finire del 1700 nel comune di San Giovanni in Fiore, sul Viadotto del Cannavino, realizzato negli anni ‘70 del secolo scorso sulla SS 107 Silana Crotonese nei pressi del comune di Celico alle porte di Cosenza, e sul tanto discusso Ponte sullo Stretto, il cui primo progetto risale al 1969. Quest’ultimo, per il momento, riesce solo a unire nelle polemiche il dissenso e l’approvazione, il buonsenso e la sconsideratezza.
I tre ponti in questione sono l’immagine del passato, del presente e del futuro. Il passato è abbandonato a se stesso, immerso nel degrado di un luogo che ha perso ogni contatto con il centro abitato e difficilmente raggiungibile. Il presente vive una situazione di precarietà e di pericolo che non fa ben sperare sulle sorti della sua stessa stabilità, e quindi sulla sicurezza di chi lo attraversa. Il futuro è incerto. E, soprattutto, appare come il luogo ideale per chi, da sempre, è alla ricerca di certi consensi personali o elettorali.
Benvenuti in Calabria, dunque, dove il passato è stato dimenticato, il presente vacilla e il futuro è illusorio e fuorviante. L’immagine di questa terra è quella di una cultura dimenticata, di una società governata da un’imperante negligenza e di un avvenire costruito da accurate e ben orchestrate narrazioni utopistiche.
Registi in fuga dalla Storia
Il Ponte della Cona è una struttura a due arcate, con le volte a pietra incastrate fra loro e tenute insieme da uno strato di malta a base di calce. Anticamente era l’unico accesso al centro di San Giovanni in Fiore. Sul ponte transitarono anche i Fratelli Bandiera dopo la cattura in località Stragola, distante poco più di dieci chilometri dal centro abitato.
Si giunge al ponte dopo aver percorso una ripida discesa e sembra quasi di fare un salto indietro nel tempo di almeno duecento anni. Una fitta vegetazione di betulacee, nello specifico ontani, costeggia il sottostante corso del fiume Neto. Insieme agli alberi anche i rifiuti si estendono lungo il fiume. E il ponte subisce i segni del tempo, tanto che da oltre un decennio c’è un divieto di transito per i mezzi e i pedoni.

Ma chi se ne importa, il sito è ormai relegato ai margini della città e per essere sicuri non ci sono indicazioni che suggeriscano come raggiungerlo. Almeno così si può essere certi del fatto che nessuno chiederà nulla su alcuni sversamenti sospetti provenienti da condotte non canalizzate che confluiscono direttamente nel fiume. Di questo non potrà dare conto neanche il registro dei tumori perché in Calabria c’è ma è come se non esistesse.
Qualche mese fa un regista ha fatto un sopralluogo in zona: voleva girare alcune scene di un film, ma poi è scappato a gambe levate spostando il lavoro della troupe verso l’Italia centrale. Altre regioni avrebbero trasformato quest’antico manufatto in una meta turistica, creando un indotto economico. L’idea di costruire un’industria culturale non è cosa che pare appartenere ai calabresi: meglio piangersi addosso o emigrare.

L’eterno rattoppo
Il Viadotto del Cannavino è nato sotto una cattiva stella: due operai nel 1972, durante la costruzione, persero la vita a causa di un cedimento del ponte. Da allora il viadotto non è mai stato sicuro, presenta un’accentuata deflessione che preoccupa. Fiumi di denaro pubblico continuano a essere spesi per incessanti manutenzioni che, con molta probabilità, non riusciranno mai a rendere sicura la struttura. All’orizzonte si prospetta, addirittura, l’ipotesi di un abbattimento e un rifacimento. Chiusure totali o parziali e aperture temporanee non fanno altro che peggiorare la già difficile situazione viaria di una regione sempre più dissestata e violata da politiche territoriali inconcludenti e incompetenti.
Diciamo pure che per il momento il Cannavino barcolla ma fortunatamente non molla.
Così lontane, così vicine
E per finire la ciliegina sulla torta: un fantascientifico ponte che possa collegare in maniera diversa, più moderna – almeno così dicono – la Calabria alla Sicilia. Non bastano i pareri di esperti che, in tutti i modi, cercano di dimostrare i rischi di un’opera tanto dispendiosa quanto tecnicamente pericolosa. Senza scendere in tecnicismi da addetti ai lavori, a noi comuni mortali basta solo dire che l’economia calabrese per ripartire non ha bisogno dell’apertura di utopistici cantieri attorno ai quali potrebbero concentrarsi ulteriori interessi di malaffare. Si avverte, invece, il bisogno di una politica dignitosa in grado di dare un minimo di normalità a questa terra.

Non abbiamo bisogno di avvicinarci alla Sicilia, anche perché non siamo mai stati lontani. C’è, però, la necessità di collegare i piccoli centri alle città, di avere la certezza che le strade interne non siano il luogo dove fare la conta dei “caduti”. Servirebbe avere finalmente la tranquillità di sapere che un’ambulanza potrà raggiungere un ospedale nel minor tempo possibile. Non abbiamo bisogno di dimostrare al mondo di essere capaci di avviare opere faraoniche se non abbiamo prima strade, ferrovie e aeroporti sicuri e funzionanti.
I ponti che servono alla Calabria
Si avverte il bisogno di valorizzare il nostro patrimonio storico, naturale e artistico, compreso il Ponte della Cona, perché è anche su questo che dovrebbe basarsi la nostra economia. I calabresi hanno la necessità di percorrere il Viadotto del Cannavino senza doverlo fare col fiato sospeso.
La Calabria ha bisogno di un unico grande ponte capace di congiungere la dignità politica con la bellezza di un territorio in balia di brame personali. Un ponte che faccia transitare le persone sulla strada della consapevolezza e dell’autocritica, perché tutto ciò che noi abbiamo è il frutto delle nostre singole scelte. Ogni calabrese è responsabile della costruzione di tutti i ponti di collegamento tra il personale e il politico.
Solo questa consapevolezza potrà ristabilire condizioni di autodeterminazione, libertà e dignità personale e collettiva.