Vecchi, soli e senza figli: ecco le famiglie calabresi oggi

Nella sola Reggio quelle unipersonali sono un terzo del totale. E il problema del calo delle nascite si somma ai mali cronici come la precarietà dei servizi sanitari, l'istruzione, i trasporti

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Rispetto al Censimento del 2011, in linea con l’andamento negli ultimi decenni, le famiglie italiane sono aumentate nel 2019 di 1,2 milioni di unità (+5,0%), passando da 24,6 a 25,8 milioni; considerando gli ultimi 50 anni, l’aumento è di quasi 10 milioni (15.981.177 nel 1971).
Le famiglie aumentano, ma sono sempre più piccole. Il numero medio di componenti, infatti, scende da 3,35 del 1971 a 2,29 del 2019. Nelle regioni del Sud, dove le famiglie sono storicamente più numerose, il valore si attesta a 2,5 componenti, ma erano 3,75 nei primi anni Settanta e 2,92 all’inizio del nuovo millennio.
Le profonde trasformazioni economiche e sociali che hanno interessato l’Italia nel corso di mezzo secolo, il calo delle nascite, il progressivo invecchiamento della popolazione e il consistente ingresso di cittadini stranieri hanno contribuito al forte ridimensionamento della numerosità dei componenti nel nucleo familiare.

Italiani sempre più soli

A crescere sono soprattutto le famiglie unipersonali, pari a 9,1 milioni nel 2019, contro il 12,9% del 1971. In altri termini, vive da solo circa il 15% degli individui abitualmente dimoranti in Italia.
Dentro la rete della famiglia allargata venivano erogati servizi di assistenza e di solidarietà che si stanno trasformando in meccanismi di mercato: pensiamo alla crescita esponenziale delle badanti per gli anziani o alle baby sitter per i bambini. Il grande assente di questa trasformazione è stato l’apparato pubblico, che ha congelato una struttura dei servii sociali costruita nell’Italia del miracolo economico, in uno scenario radicalmente differente.

Più asili nido e più assistenza agli anziani

Questo profondo rivolgimento nella struttura sociale della famiglia dovrebbe condurre ad un ripensamento nel modello di offerta dei servizi collettivi: aumenta la necessità di servizi di assistenza alla persona, che prima erano svolti all’interno della famiglia allargata, capace di stare al fianco degli anziani e dei bambini, che vivevano spesso sotto lo stesso tetto, creando una rete di servizi incrociati sottratti al mercato ed allo Stato.
Servono ora invece più asili nido e più servizi domiciliari di assistenza per gli anziani non autosufficienti. Il mutamento nella struttura demografica della piramide sociale determinerà un numero tendenzialmente inferiore di allievi nelle scuole secondarie, mentre imporrà l’infittimento dei servizi di assistenza sanitaria alle persone con età crescente.

Nurse consoling senior woman holding her hand

Niente più famiglie numerose

Alla crescita delle famiglie unipersonali si affianca la diminuzione nel corso del tempo di quelle più numerose. Nel 1971 le famiglie formate da cinque componenti o più erano 3,4 milioni e rappresentavano il 21,5% del totale delle famiglie residenti. Nel 2019 se ne contano solo 1,3 milioni, e costituiscono poco più del 5% delle famiglie censite.
Anche nel 2019 la percentuale più elevata di queste famiglie si rileva nelle regioni dell’Italia meridionale (6,9%) e insulare (5,5%) a cui si contrappongono incidenze inferiori alla media nazionale (5,1%) nelle ripartizioni Nord-occidentale (4,1%), Nord-orientale (4,9%) e del Centro (4,6%). Decisamente più marcate erano le disuguaglianze nel 1971, quando nel Sud della Penisola quasi una famiglia su tre (31,2%) era formata da almeno cinque persone, mentre nel Nord-ovest queste erano meno del 14% del totale.

La crescita a due velocità delle famiglie

In Calabria le famiglie sono 796.780 nel 2019, rispetto a 772.977 nel 2011, con un aumento di 23.803 unità familiari nel periodo, pari al 3,1%, un valore significativamente più basso di quello nazionale (5%). Il valore medio dei componenti risulta nel 2019 di 2,37 in Calabria, molto vicino ormai al valore nazionale (2,29), mentre nel 2011 l’indicatore era pari in Calabria a 2,53.
In vent’anni, tra il 2001 ed il 2021, la popolazione calabrese è diminuita complessivamente del 7,4%. Ma, soprattutto, è cambiato profondamente il mix della piramide demografica: si è assottigliata fortemente la presenza delle fasce giovanili, mentre è cresciuto drammaticamente il peso della popolazione anziana.

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Le famiglie italiane hanno sempre meno figli

Aumenta l’età media in Calabria

La fascia oltre i 65 anni è passata in Calabria dal 17,1% del 2001 al 22,9% del 2021. Nelle classi tra 55 e 64 anni di età si aggiunge un altro 17,5%. I calabresi con oltre 55 anni di età rappresentano il 40,4% del totale della popolazione. L’età media è passata in Calabria da 32,6 del 2001 a 45,2 anni oggi.
L’invecchiamento della popolazione richiede una struttura completamente differente dei servizi sociali, molto più attenta alla medicina di territorio ed all’assistenza domiciliare, se si vuole evitare che l’ospedalizzazione della sanità determini un incremento insostenibile di costi ed una condizione estraniante per le persone.

Un terzo delle famiglie a Reggio è unipersonale

Il baricentro delle necessità, per quanto riguarda la Calabria, deve focalizzarsi dunque principalmente sul ripensamento dei servizi di assistenza alle popolazioni anziane. Le tendenze future della demografia accentueranno ulteriormente questa necessità, mentre andrebbero predisposte parallelamente politiche della famiglia per invertire la tendenza drammatica alla riduzione della popolazione, favorendo la ripresa delle nascite mediante servizi alle famiglie per l’assistenza ai bambini.

Il fenomeno di allargamento del numero delle famiglie e di restringimento dei componenti del nucleo famigliare è ancora più accentuato nelle città di maggiore dimensione. A Reggio Calabria il numero delle famiglie cresce tra il 2011 ed il 2019 del 4,5%, mentre nello stesso periodo la popolazione in famiglia si riduce del 3,2%. Un terzo delle famiglie a Reggio Calabria nel 2019 è unipersonale, rispetto al 27,2% del 2011; le famiglie con sei o più componenti sono ormai solo l’1,3%. Le grandi città sono il laboratorio che richiede maggiore radicalità e maggiore cura. Siamo già in grave ritardo, perché molto è già accaduto, e nulla è stato fatto. Sarebbe il caso di cominciare subito.

Nelle regioni dove maggiore è risultato il cambiamento, e quindi in particolare nel Mezzogiorno e nella Calabria, andrebbero radicalmente riscritti la struttura, l’organizzazione ed il processo di erogazione dei servizi collettivi, dall’istruzione alla sanità, dai trasporti ai servizi culturali. Se questo non accadrà, varrà solo la legge del mercato, con un aumento delle diseguaglianze e con un processo che determinerà ulteriore spopolamento.

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