Sono trascorsi sessantacinque anni dalla stipula dei Trattati di Roma, con i quali è nato il Mercato comune europeo. E sono passati trenta anni dalla firma del Trattato di Maastricht, con il quale si sono poste le premesse per la moneta unica.
Dentro questo tempo di costruzione delle istituzioni comunitarie una parte rilevante degli sforzi si è concentrata sulle politiche di coesione ed alla riduzione dei divari territoriali all’interno della Unione Europea. Quali sono stati gli esiti di questo percorso per il nostro Paese? Perché gli sforzi non hanno condotto al successo?
L’errore dell’Italia con il Sud
Il Mezzogiorno d’Italia, nonostante le politiche comunitarie, non è riuscito ad agganciare la locomotiva dello sviluppo europeo. Anzi, si sono determinate le condizioni per una crescita del divario nel corso degli ultimi decenni. La Calabria resta fanalino di coda tra le regioni comunitarie.
Le ragioni di questo insuccesso sono tutte nazionali. L’Italia ha commesso un gravissimo errore di politica economica, senza avviare un serio dibattito pubblico su tale questione. Invece di considerare le risorse comunitarie addizionali rispetto agli sforzi nazionali, progressivamente sono state assunte scelte che hanno smantellato gli strumenti della programmazione finanziaria e gestionale italiana.
Gli sperperi del passato
Si è finito per considerare gli interventi europei sostanzialmente l’unico strumento disponibile per lo sviluppo dei territori meridionali. L’intervento straordinario nel Mezzogiorno è stato definitivamente smantellato a metà degli anni Ottanta. Così come le aziende pubbliche hanno cominciato nello stesso periodo una disordinata ritirata dai territori delle regioni del Sud.
Mentre il governo nazionale ha delegato alle istituzioni comunitarie le politiche di coesione territoriale, le regioni meridionali hanno sperperato le risorse europee attraverso due canali: da un lato disperdendole in mille rivoli e dall’altro non utilizzandole appieno con una quantità imbarazzante di residui non spesi. Sono le due ragioni che oggi rendono preoccupante la prospettiva del PNRR.
Pnrr e Sud: la coesione che vorrebbe l’Ue
Poi emergono oggi le sfide nuove, alle quali non siamo ancora preparati. L’ottavo rapporto sulla coesione della Commissione Europea, pubblicato in questi giorni, mette in evidenza il potenziale delle transizioni verde e digitale come nuovi motori di crescita per l’UE, ma sostiene che senza azioni politiche adeguate potrebbero sorgere nuove disparità economiche, sociali e territoriali.
Anche la pandemia ha allargato la forbice tra le regioni europee. Il COVID-19 ha già aumentato la mortalità dell’UE del 13%, ma finora l’impatto è stato più elevato nelle regioni meno sviluppate, dove la mortalità è aumentata del 17%.
Pnrr: riforme o al Sud sarà ancora crisi
Diverse regioni a reddito medio e meno sviluppate, soprattutto nell’UE meridionale, hanno registrato una stagnazione o una contrazione dell’economia, e questo indica che si trovano in una trappola dello sviluppo. Molte di esse sono state colpite dalla crisi economica e finanziaria nel 2008 e da allora hanno problemi a riprendersi.
Per una crescita a lungo termine occorreranno riforme del settore pubblico, un miglioramento delle competenze della forza lavoro ed una più forte capacità innovativa. Sono quelle trasformazioni istituzionali che sono state demandate agli Stati nazionali quale secondo pilastro del PNRR accanto agli investimenti.
Lavoro e divario di genere
L’occupazione è in crescita, ma le disparità regionali restano maggiori rispetto a prima del 2008. Tale crisi, ormai di lungo periodo, ha portato ad un aumento significativo delle disparità regionali, sia nei tassi di occupazione che in quelli di disoccupazione. A livello dell’UE il tasso di occupazione si è pienamente ripreso dalla crisi e ha raggiunto l’apice nel 2019, con il 73% delle persone di età compresa tra i 20 e i 64 anni.
Le disparità regionali sono in calo dal 2008, ma restano più grandi di quanto non fossero nel periodo precedente la crisi economica. I tassi di occupazione nelle regioni meno sviluppate rimangono molto più bassi rispetto a quelli delle regioni più sviluppate.
Nelle regioni meno sviluppate il divario di genere a livello occupazionale è quasi il doppio che nelle regioni più sviluppate (17 contro 9 punti percentuali). In generale le donne delle regioni meno sviluppate hanno più probabilità di ritrovarsi sfavorite rispetto agli uomini della stessa regione. E meno probabilità di raggiungere un livello di successo elevato rispetto alle donne di altre regioni.
Nell’UE l’accesso di base alla banda larga è quasi universale, ma le connessioni ad altissima velocità sono disponibili solamente per due residenti di città su tre e per un residente di zone rurali su sei.
Ambiente: problemi e strategie
Investire a sufficienza nella protezione dell’ambiente, nell’energia pulita e nella fornitura dei servizi associati è essenziale per garantire sostenibilità, competitività e qualità della vita a lungo termine.
L’inquinamento dell’aria e delle acque è minore, ma in molte regioni poco sviluppate resta ancora troppo elevato. Secondo le stime, all’interno dell’UE esso causa 400.000 morti premature all’anno. Le concentrazioni di ozono restano troppo alte in molte regioni meridionali. Il trattamento delle acque reflue è migliorato in tutta l’UE, ma sono ancora necessari maggiori investimenti in molte regioni meno sviluppate e in transizione al fine di proteggere e migliorare la qualità delle acque.
Nonostante esportazioni e investimenti esteri diretti (IED) spesso cospicui, molte regioni non riescono a cogliere i benefici per le imprese e i lavoratori locali.
La scarsa adozione di tecnologie digitali, pratiche gestionali e tecnologie di industria 4.0 nelle imprese e nel settore pubblico fa sì che molte regioni non siano preparate a sfruttare i vantaggi delle nuove opportunità. E che siano vulnerabili a potenziali rilocalizzazioni mano a mano che le catene del valore si evolvono.
Nei prossimi 30 anni la crescita dell’UE sarà guidata dalle transizioni verde e digitale, le quali porteranno nuove opportunità ma richiederanno cambiamenti strutturali significativi che rischiano di creare nuove disparità regionali. Se ignorata, la transizione demografica potrebbe indebolire sia la coesione che la crescita.
Come gestire le transizioni
Il modo in cui gestiremo tali transizioni determinerà se tutte le regioni e tutti i cittadini, ovunque essi vivano, saranno in grado di trarne vantaggio. Senza una chiara visione territoriale delle modalità di gestione di questi processi e un’attuazione ambiziosa del pilastro europeo dei diritti sociali, sempre più persone potrebbero avere la sensazione che le loro voci rimangano inascoltate e che l’impatto sulle loro comunità non sia considerato, il che potrebbe alimentare un malcontento nei confronti della democrazia.
Le istituzioni nazionali e regionali dovrebbero tornare a giocare un ruolo attivo e diverso rispetto a quello dei passati decenni. Il governo centrale dovrebbe essere in grado di realizzare quelle riforme capaci di rimettere in movimento un Paese anchilosato dalle burocrazie, aggiungendo uno sforzo finanziario nazionale per lo sviluppo. Le regioni dovrebbero essere in grado di gerarchizzare le questioni rilevanti evitando di disperdere le risorse finanziarie a pioggia. A questi snodi è legato il successo del PNRR.