Quel panino ghiegghiu è indigesto, il capo della comunità religiosa arbëreshe chiama a raccolta i fedeli e li invita a protestare. La questione riguarda il nome dato dalla catena di fast food calabrese Mi ‘Ndujo a un nuovo prodotto presentato alcuni giorni fa e che ha ricevuto formalmente il plauso degli amministratori di molti comuni dell’Arbëria. Il progetto nasce con la nobile premessa di voler valorizzare «questa preziosa e importantissima minoranza linguistica – spiegano i soci della catena – che arricchisce ancora di più la capacità attrattiva e l’immagine esperenziale della Calabria che l’Italia e il mondo non si aspettano».
‘U ghiegghiu
Fin qui tutto bene, se non fosse per il nome che – «simbolicamente e scherzosamente», sottolineano gli ideatori – è stato dato al panino: ‘u ghiegghiu. Ossia il non sempre affettuoso nomignolo affibbiato da secoli agli arbëreshë dai litìri (letteralmente latini, nello specifico i calabresi non albanofoni).
«Eleviamo la nostra protesta e chiediamo a chi ha avuto l’infelice idea di ritirarla» è il monito di Papàs Pietro Lanza. «La nostra identità non si può racchiudere in un panino e in un termine ancor oggi usato in modo dispregiativo».

Ironia o “cattivo gusto”?
Il religioso arbëresh, attraverso la sua pagina Facebook, condanna la scelta di un termine che ricondurrebbe a stereotipi che da sempre hanno un peso sull’immaginario legato al suo popolo e quindi chiede che il nome del panino venga modificato. «Non possiamo avere un panino denominato ‘u ghiegghiu che si prefigge di rappresentare il patrimonio identitario e la presenza Arbëreshe in Calabria. È semplicemente offensivo». Molti fedeli sono già pronti ad aderire alla protesta.

Ma c’è anche qualcuno che, in controtendenza, invita il papàs a cogliere l’ironia di questa scelta. Qualcun altro, addirittura, la vede come un’occasione da sfruttare anche per una sana autocritica: «Magari di fronte a un bel panino può nascere una discussione proficua. Chiediamoci piuttosto cosa stiamo facendo noi arbëreshë per preservare e promuovere il nostro patrimonio».