Gli assassini del podere accanto

C'è una Calabria arcaica dove la furia omicida è quella dei vicini o dei parenti. Basta davvero poco perché la violenza esploda. E nella maggior parte dei casi la 'ndrangheta non c'entra

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Morire per un filare di olivi in più, per un pascolo conteso, per il confine di un podere spostato di una manciata di metri: non ci sono solo gli interessi del narcotraffico e del “controllo” del territorio a insanguinare le strade del reggino, anzi. Da tempo, con la sostanziale “pace” armata siglata dalle cosche del crimine organizzato che nel reggino, dopo l’esaurirsi degli ultimi rinculi delle guerre di ‘ndrangheta, hanno ridotto drasticamente l’abitudine di spararsi tra loro, le pagine di cronaca del territorio si sono colorate del nero degli omicidi tra familiari, vicini di casa o di terreno.

«Qualche assassinio senza pretese» – cantava De André – maturato in un mondo antico, legato alla terra, agli animali, a quella “roba” verghiana che continua a dividere le famiglie e a provocare lutti. Un mondo che sembra non tenere conto del tempo che passa. E che riporta indietro agli scenari delle pagine di Saverio Strati e Corrado Alvaro, quando la legna di una quercia da abbattere o un vitello da portare al pascolo rappresentavano praticamente l’unica ancora di salvataggio per un futuro sempre incerto.

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Lo scrittore di San Luca, Corrado Alvaro

L’erba del vicino

I tempi sono cambiati, ma per i fatti legati alla terra si muore ancora, e non solo per volere della ‘ndrangheta. Ultimo, in ordine di tempo, l’omicidio di Leo Romeo, morto per un colpo di fucile che lo ha colpito al collo in seguito ad una rissa con un suo cugino, Rosario Foti: una rissa, ha confessato il presunto autore dell’omicidio agli inquirenti, maturata sullo sfruttamento di un pascolo conteso tra le due famiglie. Teatro della vicenda, la piccola Gallicianò, gioiello semi-deserto della valle dell’Amendolea: è alla periferia del piccolo borgo che ricade nel comune di Condofuri che i dissidi tra i due parenti, storia di una paio di settimana fa, sono naufragati nell’omicidio.

Da quanto emerso – il gip ha confermato il fermo del presunto assassino nei giorni scorsi – la lite tra i due andava avanti da tempo. Si era incancrenita a causa dello sfruttamento di un pascolo al confine tra le due proprietà. Pascolo che la vittima avrebbe utilizzato senza autorizzazione. Un omicidio maturato fuori dai contesti del crimine organizzato, anche se la vittima, un pastore di 42 anni, era stato in passato coinvolto, e infine assolto, in un’indagine della distrettuale antimafia che lo bollava come appartenente alla locale di Condofuri. Resta il mistero sull’arma, un fucile: l’omicida reo confesso ha raccontato agli inquirenti di averlo preso alla sua vittima e di averlo abbandonato accanto al corpo dopo la lite. Nessuno però lo ha mai ritrovato.

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La valle dell’Amendolea

«Poso il fucile e ti aiuto»

Per una disputa sulla raccolta delle olive sarebbero invece morti Giuseppe Cotroneo e Francesca Musolino, marito e moglie di mezza età, dipendenti dell’Asp di Reggio, giustiziati nella campagne di Calanna, alle porte della città, da un loro parente, Francesco Barillà. I carabinieri lo hanno arrestato dopo un mese di indagini serrate.

Secondo la ricostruzione degli inquirenti Barillà, anziano cugino delle vittime e loro vicino di casa, avrebbe discusso violentemente con la coppia – intenta a raccogliere le olive in un terreno di una terza persona, adiacente al podere del presunto omicida – prima di fare fuoco con il suo fucile da caccia registrato legalmente.

Un duplice omicidio assurdo, commesso da un anziano incensurato che, per una manciata di olive, avrebbe aperto il fuoco sui suoi stessi parenti. Un blitz eseguito approfittando della momentanea assenza del figlio delle due vittime. Quella mattina era al lavoro con loro e si era allontanato per sistemare in auto parte delle cassette raccolte. E fu proprio al presunto omicida che il ragazzo, ironia della sorte, chiese aiuto quando si accorse della strage: un appello a cui Barillà rispose con un surreale «poso il fucile e torno».

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Africo vecchio

L’omicidio per qualche albero in più

Un confine territoriale conteso sarebbe invece la causa dell’omicidio di Salvatore Pangallo, il giovane agricoltore ammazzato a colpi di fucile nella sua casa tra le campagne di Africo. Ad aprire il fuoco sarebbero stati Santoro e Pietro Favasulli, padre e figlio costituitisi ai carabinieri di Bianco dopo una caccia serrata durata tre giorni e, anche in questo caso, parenti del ragazzo ucciso. In quell’occasione, rimase gravemente ferito anche il padre di Pangallo, che durante lo scontro aveva provato a fare scudo al figlio con il suo corpo. Un epilogo tremendo per una lite che sembra andasse avanti da anni a causa di una linea di confine spostata di pochi metri. Una furia omicida che, secondo le ricostruzioni degli investigatori, sarebbe stata organizzata in anticipo dai due presunti omicidi che, dal loro parente a discutere di quel terreno, ci sarebbero andati armati di un fucile mai ritrovato dalle forze dell’ordine.

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