La Fiera della solidarietà

Sono 14 le associazioni di volontariato che hanno ridato vita all'iniziativa di distribuire pasti caldi ai migranti presenti in fiera. La solidarietà della Cosenza migliore

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Il riso e i fagioli cuociono in due diversi grandi pentoloni, mentre sui tavoli viene affettato il pane e tutt’attorno c’è l’allegria della solidarietà. Si prepara l’accoglienza dello straniero, degli ultimi del mondo, quelli che certa politica vorrebbe tenere ai margini, scacciare, anzi, la parola giusta è deportare, perché come ogni anno saranno molti gli stranieri che porteranno la loro mercanzia alla Fiera di San Giuseppe, generalmente nord africani, spesso irregolari, uomini e donne che non hanno altro che ciò che possono portare.  «Noi non li vogliamo mandare in Albania, vogliano dare loro da mangiare», dice ridendo una signora mentre confeziona i pasti che dalle sette e mezza di sera saranno distribuiti ai migranti che sono venuti a vendere la loro mercanzia alla Fiera di San Giuseppe. Alla fine saranno pronti più di cinquecento pasti caldi.

Solidarietà: c’era una volta Fiera in mensa

Una volta si chiamava “Fierainmensa” e per anni ha trovato nei capannoni occupati del Rialzo il quartier generale della solidarietà. Un volontariato trasversale, che coinvolgeva la sinistra antagonista e il mondo cattolico, le associazioni del Terzo settore e singoli cittadini. Oggi quella esperienza riprende vita, coinvolgendo 14 associazioni (Stella Cometa, Terra di Piero, Moci, Migrantes diocesana, Istituti Buddista, Fondazione Lilli Funaro, Radio Ciroma, Caritas diocesana, Banco alimentare, Azione cattolica, Auser, Anteos, Agesci, L’Arte in corso). A far ripartire la macchina dell’accoglienza sono stati in quattro, racconta Maria Pia Funaro, «prendendo un caffè con gli amici Max Orrico, Gianfranco Sangermano e Andrea Bevacqua, ci è venuto in mente di provarci».

Volontari preparano i pasti

Era ancora Dicembre e il tam tam è partito, occorreva tessere la tela che avrebbe tenuto assieme mondi diversi eppure impegnati sullo stesso fronte della solidarietà, soprattutto era necessario raccogliere energie tali per essere capaci di dare da mangiare a molte persone per cinque giorni. Servivano volontari, serviva il sostegno delle attività commerciali che avrebbero regalato l’invenduto delle giornate, serviva un luogo che facesse da base.

I pasti vengono distribuiti

Una città con una lunga storia di accoglienza

L’esperienza dello scorso anno, che aveva visto la distribuzione delle colazioni calde non poteva bastare, soprattutto perché la Fiera cade proprio nel periodo di Ramadan e dunque i destinatari principali dell’impegno solidale avrebbero potuto mangiare solo dopo il tramonto. Tuttavia c’è un aspetto che va oltre lo sforzo organizzativo, c’è il messaggio che sta tutto dentro una visione del mondo che si vorrebbe uguale e più umano. «Cosenza ha una lunga tradizione di accoglienza, radicata nella sua storia, nelle edizioni passate della Fiera ci sono stati nuclei familiari che hanno ospitato donne con bambini, dando loro un luogo sicuro e dignitoso dove dormire», ricorda Maria Pia Funaro, mentre tutt’attorno fervono i preparativi.

Si confezionano i cestini

La Cosenza migliore

Una memoria di solidarietà che è rimasta viva, visto che questa mattina sono giunte due donne con tre bambini presso il Moci per domandare se c’era un posto dove sostare. Di quella solidarietà occorre trasferire il senso da una generazione all’altra, per non perdere la traccia di una città che è stata orgogliosamente aperta e antirazzista e vedere attorno ai tavoli adulti e ragazzi tagliare il pane e preparare il cibo dice che forse nulla è perduto. Un messaggio controtendenza, in una società che pare dare fiato ai comportamenti più avari e a pratiche politiche che si alimentano sulla divisione.  Accogliere e dare da mangiare a chi viene da lontano, resta forse il gesto più autenticamente umano. Non è molto, ma è quel che ci resta, comunque sia è il segno della Cosenza migliore.

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