Le cose sono complesse, rassegniamoci, nessuna scorciatoia torna utile per capire e forse trasformare i fenomeni dentro cui siamo immersi. Dobbiamo avere uno sguardo molteplice, capace di coniugare efficacemente approcci scientifici diversi e certe volte neppure prossimi. Questo vuol dire affrontare il tema dell’interdisciplinarità, andare oltre i “confini”, come li chiama Sonia Floriani, sociologa e anima del laboratorio sulla Interdisciplinarità che ha preso vita nelle stanze del Dispes.
Interdisciplinarità per andare oltre i confini
I confini di cui parliamo sono la linea di separazione tra le scienze, che si deve avere il coraggio di superare andando oltre. Ecco, andare “oltre” diventa la parola chiave di questo laboratorio. Lo hanno assai desiderato e organizzato Giap Parini, direttore del Dispes, e la stessa Floriani, sensibili entrambi alla necessità di spiegare con efficacia i tempi che affrontiamo. Attorno a questo compito lavora, dallo scorso anno, una pattuglia di ricercatori sociali, che prendendo in prestito il concetto di confine hanno usato la parola I-Limes come suggestivo acronimo di Laboratorio di Idee, Metodi e Studi.

Questa volta il campo si allarga. A discutere non sono solo studiosi di Scienze sociali, ma vengono chiamati rappresentanti di quelle che normalmente vengono definite “scienze dure”. È il caso di Riccardo Barberi, fisico sperimentale, anzi studioso di fisica applicata. Non si tratta di un dettaglio, avendo Barberi una certa spiccata sensibilità verso la concretezza del mondo reale. Ed è con i piedi ben piantati per terra che Barberi spiega come l’interdisciplinarità non sia affatto una cosa rivoluzionaria. È, al contrario, una semplice necessità sociale dettata dal bisogno di uscire dalle “gabbie” dentro cui ci siamo rinchiusi inseguendo il mito delle specializzazioni.
L’iperspecializzazione obbligata dal sistema produttivo finisce per essere asfissiante. Così aprirsi alle altre forme di sapere diventa una boccata d’aria necessaria. Con la semplicità di chi è avvezzo a risolvere cose complesse, il fisico spiega come probabilmente la cosa più interdisciplinare oggi siano le Large Language Model, capaci di parlare tra loro e dunque intersecare i saperi, ancora per fortuna sotto il controllo umano.
La Costituzione, le leggi e la fabbrica del consenso
Il concetto di “confine” resta ad aleggiare nell’aula che ospita il seminario. Nelle parole di Donatella Loprieno, però, assume subito il suo senso più oppressivo: quello di separazione e distanza. Non è casuale: Loprieno è una costituzionalista storicamente impegnata, tra le altre cose, sul fronte dei diritti dei migranti.

«I costituzionalisti si occupano di una materia fatta di sogni», spiega la docente, richiamando La tempesta di Shakespeare, perché le Costituzioni si fondano sul desiderio di una vita più giusta per tutti, ma oltre la bellezza utopica subito le sue parole ci precipitano nell’abisso delle violazioni dei diritti della persona, del migrante come individuo spogliato di ogni forma di umanità, del buco nero della “Detenzione amministrativa”, cioè del carcere senza reato, senza processo, senza avvocati, un inferno destinato solo agli stranieri, uno strumento che divide gli esseri umani tra chi ha diritti e chi è “schiuma della terra”.
Come una costituzionalista osserva questo mondo usando le lenti della interdisciplinarità? Domandandosi come sia stato possibile che una istituzione così repressiva, chiaramente incostituzionale, sia diventata normale, incontrando anche un vasto consenso tra le persone. Significa utilizzare gli strumenti della comunicazione persuasiva, della manipolazione dell’opinione pubblica, della psicologia delle masse e comprendere che certe scelte vanno oltre la durezza dei codici.
La potenza delle parole e i confini come luoghi di passaggio
Anche le parole sono interdisciplinari, sul loro uso flessibile sarebbero stati d’accordo Wittgensein e Gramsci. E da questo punto di vista Andrea Lombardinilo, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, le utilizza come veicolo per visitare spazi, tempi e protagonisti. Parte da Castoriadis, dal mondo dell’immaginario, e transita rapido attraverso John Coltrane, Miles Davis, Duchamp e Leopardi, Vico e altri. Nel frattempo sulla Lim alle sue spalle compare una scena del film Mission.
Lombardinilo è come un abile seduttore. E nel suo muoversi dentro il sapere, che deve essere declinato per forza al plurale, ci offre il biglietto per un viaggio che più interdisciplinare non si può.

A chiudere il viaggio un’ultima struggente suggestione, quella che viene dalle parole dell’autore ed attore Ernesto Orrico e del fisico Peppe Liberti. Orrico legge alcune parti de La fuga di Pitagora di Marcello Walter Bruno e Liberti evoca il ricordo di un intellettuale che di confini tra i tanti saperi ne aveva varcati parecchi. Anche perché, come suggerisce Parini, «i confini sono luoghi di passaggio e conviene usarli bene».