Il sacco dei boschi nella Calabria degli incendi

Clientele, prebende e lucro sui terreni bruciati. E poi gli interessi della 'ndrangheta che controlla le montagne. La Sila boccone succulento per la criminalità

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«L’attacco criminale al patrimonio naturale della terra di Calabria ha interessi precisi e individuabili. C’è necessità di massimo impegno nel controllare il territorio ed individuare mandanti ed esecutori di questa tragedia». Il sindaco di Napoli e candidato alla presidenza della Regione, Luigi De Magistris, ne è sicuro. Dietro l’ondata di incendi che, ormai da settimane, investe la Calabria, vi sarebbero una strategia e un disegno. De Magistris, tuttavia, non indica alcunché di ulteriore rispetto alla grave affermazione. Elementi che, al momento, non sembrano essere concreti.

I boss e la montagna

Ma c’è un dato certo: da decenni, ormai, i boschi calabresi sono stati conquistati dal crimine. Comune e organizzato. Non può essere dimenticato il sangue versato nell’ambito della “faida dei boschi” scoppiata tra gli anni ’70 e gli anni ’80 tra le famiglie di ‘ndrangheta nel territorio montano a cavallo delle province di Catanzaro, Vibo Valentia e Reggio Calabria. Che poi ha avuto una recrudescenza anche negli anni 2000, con gli ultimi delitti fino al 2013.

Gli incontri riservati

Negli anni e progressivamente, lo Stato ha lasciato, centimetro dopo centimetro, ettari ed ettari di macchia calabrese. Che è diventata terreno congeniale per effettuare incontri riservati di ‘ndrangheta, come dimostrato fin dal 1969 con il summit di Montalto, dove cosche e destra eversiva progettavano piani criminali. O per nascondere latitanti. Magari per sotterrare armi ed esplosivi. O per installare enormi e fiorenti coltivazioni di marijuana. I ritrovamenti, da parte delle forze dell’ordine, sono pressoché quotidiani. Ed è quindi, impossibile, fornire un quadro d’insieme su un fenomeno gigantesco.

Le vacche sacre

L’intervento sui boschi, in Calabria, ha percorso due strade. Prima l’antropizzazione delle campagne. Con interventi che le hanno disboscate e devastate. Poi la desertificazione del territorio, che, quindi, ha portato a migliaia di ettari sostanzialmente incontrollati. O, meglio, controllati dal crimine organizzato, soprattutto. La ‘ndrangheta. Anche il fenomeno delle “vacche sacre”, sempre in maggiore aumento, si inquadra in questo sistema in cui i boschi e le campagne sono ormai lasciati alla mercé del crimine e del malaffare.

Il re della montagna

Non è un caso che, negli anni, l’Aspromonte, più che scenario di bellezze paesaggistiche, ambientali e animali, sia stato prima teatro di numerosi sequestri di persona. Dove, peraltro, si sono sperimentate le peggiori alleanze e trattative tra Stato e ‘ndrangheta. Poi ambienti ideali dove nascondere i latitanti. E, infatti, uno dei boss più importanti che la ‘ndrangheta abbia mai avuto, Rocco Musolino, era soprannominato il “re della montagna”. Il suo feudo era Santo Stefano in Aspromonte, lì dove Gambarie doveva diventare una grande meta turistica e sciistica. E dove, in alta stagione invernale, non funziona nemmeno la seggiovia. Don Rocco Musolino, massone, in contatti di affinità con alti magistrati, è morto alcuni anni fa. Senza condanne definitive per ‘ndrangheta. Nel proprio letto, come nelle migliori tradizioni criminali.

Il business dei terreni

Quando, poco prima di Ferragosto, il capo della Protezione Civile, Fabrizio Curcio, è sceso in Calabria per monitorare la drammatica situazione di quei giorni, ha stimato in circa 11mila gli ettari bruciati sul territorio. Ovviamente, nei dieci giorni successivi il dato è certamente aumentato. Anche se non possediamo cifre ufficiali.

È indubitabile che la maggior parte dei roghi sia di origine dolosa. Ma è ormai sempre più marginale il fenomeno dei piromani isolati, che appiccano il fuoco a causa della loro patologia e che amano crogiolarsi nel disastro causato. Molto più preoccupante è ciò che può riguardare i tentativi di lucro sui terreni. E, ovviamente, un territorio in larghi tratti incontrollato e disabitato, dove è ormai saltato da anni il sistema di controllo, anche un piccolo focolaio viene scoperto in enorme ritardo. Quando la situazione è già ampiamente compromessa.

Le autorizzazioni in Regione

Poco più di un anno fa, gli investigatori hanno effettuato un accesso agli atti degli uffici della Regione Calabria, per verificare se i tagli effettuati nei boschi calabresi siano in numero superiore rispetto alle autorizzazioni rilasciate. Un meccanismo abbastanza rodato è quello delle aste boschive per poter lucrare sulla vendita del legame.

Le ‘ndrangheta tra i boschi della Sila

L’altopiano della Sila e suoi boschi sono zone franche. I controlli pressoché inesistenti. E, quindi, bocconcini succulenti per la ‘ndrangheta.  Una recente inchiesta della Dda di Catanzaro avrebbe dimostrato come i boschi della Sila fossero nella loro totalità ad appannaggio delle cosche di ‘ndrangheta. Con il monopolio del taglio boschivo. Perché l’enorme fenomeno di disboscamento abusivo delle foreste calabresi non indica un’assenza di controllo di quei luoghi. Bensì l’esatto opposto. Se si taglia, se si disbosca, se si porta via la legna, è perché qualcuno lo permette. Accadeva in Sila con gli imprenditori Spadafora, coinvolti nel maxiprocesso “Stige”. Anche grazie alla presunta complicità del maresciallo Carmine Greco, ex comandante della stazione forestale di Cava di Melis, nel Comune di Longobucco. Un soggetto attorno a cui ruotano vicende torbide che hanno coinvolto o sfiorato anche magistrati.

Il lucro sui terreni bruciati

Proprio dalle carte raccolte sul conto di Greco, emergerebbe il ruolo degli Spadafora in un affare che riguarda l’acquisizione di un bosco molto grande. Che era stato recentemente aggredito da un incendio. Ecco il meccanismo di lucro sui terreni bruciati. L’area, per essere tagliata, aveva bisogno di una autorizzazione regionale. Che doveva poi prevedere anche la possibilità di una nuova semina per il rimboschimento. L’interesse dei gruppi criminali sui terreni interessati dagli incendi è fatto notorio, anche attraverso stime al ribasso dei terreni. Dietro il disastro che ad agosto ha (fin qui) causato sei vittime in Calabria, potrebbe esserci proprio questo business. Sempre in uno dei filoni d’indagine sul conto di Greco, degli Spadafora e della ‘ndrangheta dei boschi, è stata ritrovata contabilità occulta riguardante i profitti realizzati col traffico di materiale nelle centrali a biomasse.

Un forestale ogni 190 abitanti

Figure mitologiche. Al centro di scandali, ma anche tanta ironia sul web. Sono gli operai forestali calabresi. Uno studio di qualche anno fa, aveva dimostrato come fossero in un numero più elevato rispetto ai Rangers canadesi. Con proporzioni tragicomiche: un forestale ogni 190 abitanti, a fronte di un Rangers ogni 7800 abitanti.  Figure istituite per risanare il suolo calabrese, devastato dalle alluvioni degli anni ’50. Ma la Sila, l’Aspromonte e il Pollino non sembrano aver beneficiato di tali figure. Anzi. Ogni anno il governo centrale doveva rifinanziare il settore e, ciclicamente, si aveva notizia di sprechi, malversazioni. Infiltrazioni della ‘ndrangheta nelle schiere infinite.

Clientele e prebende

Trenta, forse quarantamila i forestali calabresi nei tempi d’oro. Come in ogni grottesca vicenda calabrese, la realtà si mischia alla leggenda. Attualmente sarebbero 3.000 gli operai che dipendono da Calabria Verde, l’azienda regionale che ha assorbito l’Afor. E poi circa altre 1700 unità tra i Consorzi di bonifica e i parchi. Insomma, molti di meno rispetto al passato. Ma costerebbero ancora circa un milione e mezzo di euro all’anno. E hanno un’età media di 60 anni. Segnalati, raccomandati. Talvolta con precedenti penali. Imboscati. Nel vero senso della parola. Al di là delle cifre, il problema è concettuale. I boschi calabresi (e ciò che ruota attorno a essi) sono stati, ancora una volta, una camera di compensazione per piazzare i propri uomini. Per fare clientele e pagare prebende. E, ovviamente, anche la ‘ndrangheta ha pasteggiato.

Le nomine dei Parchi

Le nomine dei presidenti dei Parchi, di scelta politica, spesso non mettono al riparo dalle ingerenze del potere. E tutto ciò, poi, porterebbe a una gestione talvolta carente, talvolta pedestre. Se si pensa che il Piano Antincendi del Parco Nazionale dell’Aspromonte, oggi presieduto da Leo Autelitano, verrà completato solo il 6 agosto scorso. Quando già le fiamme avevano avvolto ettari ed ettari di territorio. Degli 11mila ettari in fumo comunicati da Curcio prima di Ferragosto, ben 5.400 sarebbero quelli bruciati solo in Aspromonte.

Le presunte pressioni sul presidente del Parco

Sono di alcuni mesi fa le dichiarazioni rese in aula nel processo “Gotha” dall’ex presidente del Parco Nazionale dell’Aspromonte, Giuseppe Bombino. Ha riferito delle presunte ingerenze dell’allora consigliere regionale della Calabria e oggi deputato di Forza Italia, Francesco Cannizzaro, per la nomina del Direttore del Parco Nazionale dell’Aspromonte. Sponsorizzando un soggetto, nonostante questi non avesse i requisiti necessari per essere inserito nella terna di persone da sottoporre al Ministro per la nomina. Bombino avrebbe ricevuto pressioni sia da destra che da sinistra, anche su un soggetto ritenuto vicino all’ex assessore regionale, Demetrio Naccari Carlizzi: «Non volevo una persona locale alla direzione del Parco, perché temevo che più che rispondere al territorio potesse rispondere ai propri sponsor» – dirà in aula.

Attività predatoria sui fondi

Sempre in quell’occasione, l’ex presidente del Parco parlerà di una «assegnazione clientelare dei fondi» gestiti dall’Ente Parco. Secondo il suo racconto, in passato, le attività non venivano promosse secondo piani organici ma, al contrario, erano i singoli Comuni che, tramite associazioni e/o cooperative, richiedevano finanziamenti per attività di loro esclusivo interesse.  L’ex presidente del Parco parlerà anche di «attività predatoria» sui fondi e di un metodo per «fregare l’ente pubblico per interessi localistici».

Forse il disastro dei boschi calabresi potrebbe avere come causa anche questo tipo di dinamiche.

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