Fratelli d’Italia è il primo partito d’Italia o il secondo, dipende dai giorni e dai sondaggi. Le rilevazioni più recenti lo danno attorno al 20%, dietro al Pd di circa un punto percentuale. Il dato consolidato è un altro: alla creatura di Giorgia Meloni è definitivamente riuscito il sorpasso sulla Lega (17%), in calo costante dopo la decisione di Matteo Salvini di entrare nel Governo di salvezza nazionale di Mario Draghi.
Ma se Fdi è ormai il partito guida del centrodestra – con la sua leader che sogna di diventare premier –, in Calabria arranca vistosamente, al punto di essere una sorta di junior partner non solo del Carroccio, ma soprattutto di una Forza Italia che, pur viaggiando intorno all’8% in Italia, tra il Pollino e lo Stretto sembra rivivere i fasti del 1994.
Fratelli d’Italia cresce ovunque, tranne in Calabria
L’exploit del partito berlusconiano, capace, assieme alla lista satellite “Forza azzurri”, di sfiorare il 26% alle ultime elezioni regionali e di esprimere gli ultimi due presidenti di Regione, Jole Santelli e Roberto Occhiuto, è un’anomalia che si può spiegare con la propensione della Calabria ad andare sempre in direzione ostinata e contraria.
Tendenza che vale anche per Fratelli d’Italia.

Ancora una volta, a parlare sono i dati: lo scorso ottobre, i fratellisti, con l’8,7% delle preferenze, sono sì riusciti ad arrivare secondi dietro Fi e a staccare, seppur di uno zero virgola, la Lega, ma hanno perso due punti percentuali rispetto alle Regionali del 2020. Insomma, quello di Meloni è un partito che in Calabria, a differenza di quanto succede nel Paese, sta decrescendo. I motivi principali potrebbero essere due: un voluto disinteresse frammisto a una mania del controllo da parte dei vertici romani e un’organizzazione abbastanza approssimativa del partito regionale.
Le inchieste e il disamore di Giorgia Meloni
In ambienti di centrodestra si dice che il probabile disamore verso la Calabria di Giorgia Meloni potrebbe essere iniziato tra la fine del 2019 e l’inizio del 2020, quando due distinte operazioni antindrangheta finiscono per coinvolgere personaggi di primo piano del partito.
Prima tocca a Giancarlo Pittelli, inizialmente arrestato con l’accusa associazione mafiosa nell’ambito dell’inchiesta Rinascita Scott della Dda di Catanzaro. L’imbarazzo della leader di Fdi è enorme perché, nelle ore successive alla mega operazione, esce fuori un suo tweet del 2017 in cui dava il benvenuto nel partito all’ex parlamentare, definito «un valore aggiunto per la Calabria e per tutta l’Italia».
Nemmeno il tempo di riprendersi dalla botta mediatica-giudiziaria, che un’altra tempesta si abbatte su Fdi, stavolta nel Reggino: un mese dopo le elezioni del 2020, viene spedito ai domiciliari il neo consigliere regionale Domenico Creazzo, accusato di aver ottenuto i voti della cosca Alvaro di Sinopoli. Per Meloni è un’altra batosta che rischia di offuscare l’immagine di un partito che in quel momento ha preso l’abbrivio tanto ricercato; una pubblicità pessima e per di più evitabile, dato che l’allora sindaco di Sant’Eufemia d’Aspromonte era transitato in Fdi da poche settimane, dopo essere stato per molto tempo un esponente del Pd.

Raccontano che, dopo i due arresti eccellenti, l’ex ministro dei governi Berlusconi non abbia più guardato questa regione con gli stessi occhi. E che ne abbia in qualche modo preso le distanze, disponendo al contempo un controllo ferreo sull’intero gruppo calabrese per evitare altri guai o imbarazzi.
Fratelli d’Italia sotto la tutela di Wandissima
Tant’è che il partito ancora oggi si trova sotto la tutela della commissaria Wanda Ferro, la persona di maggior fiducia di Meloni a queste latitudini. I risultati, in termini politici ed elettorali, sono però tutt’altro che entusiasmanti, perché al disallineamento dei dati calabresi si aggiungono pure i problemi di autorevolezza di una forza politica che non sembra avere un ruolo attivo nei processi decisionali, in Regione come nelle altre realtà locali. «Inutile negarlo, abbiamo un peso politico minimo se confrontato non solo con quello di Fi, ma anche in relazione alla Lega, che è arrivata terza ma ha strappato posti di comando più prestigiosi dei nostri», confessa un colonnello del Cosentino.

Il riferimento è al manuale Cencelli usato da Occhiuto per Giunta e Consiglio regionale. Saltato il ticket con Nino Spirlì, a cui sarebbe dovuta andare la vicepresidenza, Salvini ha comunque guadagnato la seconda carica regionale, cioè la presidenza del Consiglio, andata a Filippo Mancuso. A Fratelli d’Italia sono invece toccati solo due assessorati: uno, rilevante, a Fausto Orsomarso (Turismo, marketing e Mobilità), l’altro, decisamente meno ambito, a Filippo Pietropaolo (Organizzazione della burocrazia regionale). Un assessorato, quest’ultimo, «che poteva avere un valore nella Calabria degli anni ’80, non certo ora», riflette un dirigente del Catanzarese, uno di quelli – e sarebbero tanti – che in provincia non hanno affatto gradito la scelta di Ferro.

Il caso Pietropaolo
Pietropaolo, candidato nella circoscrizione Centro, ha infatti fallito l’appuntamento elettorale (4.498 voti), surclassato da Antonio Montuoro (5.241), ma è comunque riuscito a entrare in Giunta, grazie proprio alla spinta decisiva della commissaria regionale. Una mossa che ha scosso e indignato buona parte del partito. «Da noi i dirigenti premiati dagli elettori devono farsi da parte per permettere a Wanda di continuare a dettare legge», spiega con un filo di rancore un esponente di primo piano dei meloniani.
Tra i delusi non c’è solo Montuoro. Ferro non ha tenuto in considerazione nemmeno le performance elettorali di Luciana De Francesco – erede politica della famiglia Morrone – e di Peppe Neri. Entrambi si sono dovuti accontentare di ruoli di secondo piano: rispettivamente, la presidenza della commissione Affari istituzionali e la guida del gruppo in assemblea.

La delusione di Neri
Tra i due consiglieri, è soprattutto Neri a masticare amaro, considerato che, nelle ultime due elezioni, ha fatto il pieno di voti senza mai essere indicato per un posto nell’esecutivo. Segno che il suo peso politico, all’interno del partito, è pari allo zero. Secondo i bene informati, il capogruppo reggino – che ha un passato nel centrosinistra di Oliverio e che viene ancora percepito da molti fratellisti come un corpo estraneo – sarebbe stato in corsa fino all’ultimo per la poltrona più alta dell’assemblea regionale, prima di essere affondato dal fuoco amico, cioè dal «no» perentorio dei vertici di Fdi, per la gioia di Mancuso e di un partito alleato ma pur sempre avversario.

Così come Orsomarso, a caccia di una rivincita dopo aver mancato di un soffio l’elezione alla Camera nel 2018, anche Neri potrebbe tentare il salto in Parlamento alle prossime Politiche. Ma con ogni probabilità dovrà fare i conti con Ferro, una commissaria che non pare troppo amata dai suoi colonnelli. Questi malumori generalizzati sarebbero stati comunicati da tempo a Roma, ma né Meloni né il responsabile dell’organizzazione interna, Giovanni Donzelli, sembrano intenzionati, almeno per il momento, a sostituire la Wandissima calabrese. I problemi interni, però, restano e potrebbero esplodere nei prossimi appuntamenti elettorali.

La kingmaker senza nomi
L’operato di Ferro non sta entusiasmando neppure a Catanzaro. La commissaria ha rivendicato da tempo il ruolo di kingmaker nella scelta del prossimo candidato sindaco, che da accordi nel centrodestra spetta proprio a Fdi; eppure, dopo un’attesa di mesi, gli alleati aspettano ancora che faccia un nome. Ad approfittare di questa esitazione è stata ancora una volta Fi, per cui è da tempo schierato il giovane Marco Polimeni.
Lo stesso Mancuso, nel corso dell’ultimo vertice del centrodestra, è stato indicato in modo compatto come candidato sindaco, ma ha infine declinato l’offerta anche perché la sua eventuale elezione rimetterebbe in discussione gli attuali assetti istituzionali in Regione.

Ferro, dal canto suo, ha avuto il suo bel da fare per allontanare da sé più di un sospetto. Diversi esponenti del centrodestra catanzarese sono convinti che la deputata meloniana lavori sottotraccia per il suo avvocato, quel Valerio Donato iscritto al Pd e candidato sindaco alla testa di un costruendo polo civico.
«Fdi – ammette un quadro del partito – è alle prese con molte fibrillazioni interne che ne limitano la crescita. Ecco perché non andiamo bene come nel resto del Paese. Questa crisi può rientrare, a patto che si cambi rotta al più presto».
Chissà cosa ne pensa Wanda.