Il sindaco del rione Santa Lucia

Faustino Olivito è il simbolo dell'antico quartiere di Cosenza. Custode delle chiavi della chiesa, resiste lì con la sua bottega da quando i panini che preparava costavano poche decine di lire. Nel deserto di un luogo un tempo affollatissimo, oggi abbandonato tra palazzi che crollano e miseria dilagante

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Nelle rughe di Faustino Olivito detto “il Caporale” sono scolpiti settant’anni di storia cosentina. I solchi sulla sua fronte sono un reticolato di strade e vinelle, personaggi e aneddoti, profumi, voci, panni stesi al sole e minestre fumanti sui fornelli: c’è dentro la vita di Santa Lucia, uno dei quartieri più suggestivi e chiacchierati della città vecchia.

Lo chiamano “il sindaco” perché ha l’autorevolezza della memoria storica. E poi ha le chiavi. Faustino è il custode delle chiavi della piccola chiesa di origine medievale dedicata a Santa Lucia, la santa protettrice degli occhi e della vista da cui prende il nome il quartiere. Gliele consegnò anni addietro don Giacomo Tuoto quando era parroco e rettore del Duomo. Sapeva di metterle in mani sicure per garantire a chiunque di visitare quel luogo sacro così importante per i cosentini, nonostante durante la pandemia la statua della Santa sia stata portata nella cattedrale per evitare affollamenti e non sia ancora tornata nella sua casa.

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Faustino ci pare le porte della chiesa di Santa Lucia (foto Benedetta Caira)

Faustino con le sue chiavi è l’emblema della resistenza, di chi non scappa e resta aggrappato a ciò che rimane, tra cumuli di macerie e spazzatura, palazzi sventrati dai crolli, vicoli deserti, topaie spacciate per alloggi e date in affitto ai rom.

Faustino e la festa di Santa Lucia

Ogni 13 dicembre, giorno della festa di Santa Lucia, lui rinnova il rituale e apre il portone della chiesa ai fedeli che di anno in anno sono sempre meno. E invece ricorda quando la folla era così tanta che la gente doveva sostare sulla scalinata a fare la sua preghiera mentre la piccola navata della chiesa era gremita. A ogni ora a partire dall’alba, veniva celebrata una messa. C’erano i venditori di candele, se ne vendevano migliaia, «ce n’erano di vario tipo – ricorda Faustino – quelle più semplici costavano 50 lire. Tutti i fedeli accendevano i ceri in chiesa e le cassette delle offerte erano sempre piene».

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Niente più candele accese all’interno della chiesa

Era una festa solo religiosa, un momento di raccoglimento in cui la comunità si ritrovava, ma oltre ai canti risuonavano tra i vicoli zampogne e tamburi. «Gli zampognari arrivavano da Laino Borgo o da Serra San Bruno all’inizio di dicembre e restavano in città per un paio di settimane, proprio qui sopra – Faustino indica una viuzza – si affittavano letti e loro alloggiavano lì». Non camere ma letti, in quelli che erano B&B ante litteram.

Il tempo si è fermato

La piccola chiesa di Santa Lucia, con il suo rosone in pietra, resta un punto di riferimento, nonostante sia stata privata della statua tanto amata dai fedeli, un colpo che ha impoverito il quartiere e ridotto ulteriormente i momenti di socialità. «Spesso arrivano cosentini emigrati, che vivono lontano dalla Calabria e tornano qui per ritrovare la magia di questo luogo, l’atmosfera della loro infanzia. Io apro la porta della chiesa – dice Faustino – e per molti è una emozione grande rivivere il ricordo della festa».

Faustino “il sindaco” arriva ogni mattina presto e apre le porte della sua piccola putica. Il negozio di alimentari ha oltre cento anni perché fu suo padre ad aprirlo. Qui – come in un incantesimo – il tempo sembra essersi fermato. Cristallizzato a quando – dove adesso non c’è più nessuno – arrivavano i bambini col grembiule a comprare il panino. «Ci mettevo dentro una fetta di mortadella o di salame e costava trenta lire». Le bottiglie di moscato di una marca che non esiste più, la grossa bilancia su cui si posavano gli occhi curiosi degli scolari in attesa della merenda avvolta nella carta oleata, vecchie lattine impolverate e gli adesivi con le réclame che oggi più nessuno conosce.

Il quartiere che non c’è più

In vendita sugli scaffali ci sono ormai solo detersivi e poco altro, in questo luogo del cuore Faustino torna ogni mattina non perché deve, ma perché non può farne a meno. «Ci hanno lavorato mio padre, mio zio, mio fratello che ora è in America. Io ci sono entrato quando ero un bambino, ora ho 81 anni: la mia vita l’ho fatta tutta qui dentro. A questo quartiere sento di appartenere nonostante oggi sia irriconoscibile: disabitato, abbandonato».

Gli occhi di Faustino brillano, sembra quasi di vederle le immagini che scorrono nella sua memoria. Con il dito indica i palazzi, ricostruisce pezzi di storia a partire dai cognomi o dai soprannomi. Si ferma, ricorda meglio, aggiunge un dettaglio. «Ogni casa era abitata. Dove adesso le porte sono sbarrate o murate vivevano intere famiglie. Si festeggiavano continuamente nascite di bambini».

Sacro e profano

Santa Lucia ccu l’uacchi pizzuti, fammi truvari na cosa perduta era la preghiera dei fedeli davanti alla statua della Santa, lo ripetevano in coro i bambini scendendo dai gradini di pietra, senza comprenderne neanche bene il significato. «Era bello qui – racconta Faustino – perché era un posto pieno di vita. I negozi di alimentari non si contavano, poi c’erano calzolai, sarti, il quadararo, cinque cantine che vendevano vino. E poi – e i suoi occhi sorridono – c’erano le signorine».

Vico IV Santa Lucia era luogo di perdizione e peccato. Le prostitute stavano sull’uscio delle loro case ad aspettare i clienti, spesso in abiti così dimessi che si faceva fatica a non confonderle con le massaie intente a scambiarsi confidenze e ricette poco più in là. Molte di loro avevano nomi d’arte e soprannomi fantasiosi e ammiccanti. Tanto bastava ad accendere l’immaginario dei ragazzini che le spiavano da lontano o contravvenivano al divieto di superare i confini imposti dai genitori.

«Erano clienti del mio negozio – ricorda Faustino – e io le ho sempre rispettate. Sapevo, ma facevo finta di non sapere». La più bella? Franca, detta “la ballerina”, «mezza bionda, bellissima». Molte di quelle signore sono cresciute, diventate mamme e nonne, invecchiate sugli usci delle porte delle loro case, incipriando il viso e ossigenando i capelli nel tentativo di rimanere appetibili, osservando questa parte di città perdere pezzi, crollare, sparire insieme a loro.

Faustino nel deserto di Santa Lucia

Continuando arrampicarsi sui gradini, ci si spinge nel cuore del quartiere, si attraversano le sue stratificazioni. Un gruppo di bambini rom trascina un fascio di rami che serviranno per scaldare la notte gelida, montagne di rifiuti, scorci meravigliosi di pietre antiche, case senza tetto, stendipanni carichi di indumenti appena lavati. Da una finestra una signora ci invita a salire: «Ho ammelato mo’ mo’ i turdilli, venite a provarli!».

Ci si perde tra le strettoie e si incontrano più gatti che esseri umani. Sparse qui e lì ci sono tracce di vite e di devozione: fiori finti e lumini spenti davanti a immaginette sacre ed edicole votive abbandonate. Da lontano si sente una strina, voci di bambini, murales, colore. Poi, d’improvviso, ancora deserto: edifici vuoti, macerie e spazzatura, un cane che abbaia sfinito. Solo il muschio a colorare il grigio dei mattoni, sui portoni i cognomi scritti a penna, sovrapposti a quelli di chi abitava qui quando tutto era integro.

Un quartiere di paradossi

Una bestemmia sul muro e una Madonnina afflitta in una teca di plastica: nichilismo e devozione. Perché il quartiere di Santa Lucia è da sempre un luogo di paradossi, ossimori, asimmetrie: sante e puttane, nobiltà e miseria, canti e silenzi profondi come abissi. Pieni e vuoti, memoria e rimozione. Ora per esempio, sta per arrivare una pioggia di fondi del Contratto Istituzionale di Sviluppo: 90 milioni di euro, 24 cantieri che in tre anni dovrebbero trasformare il centro storico e migliorare sensibilmente la qualità della vita di chi lo abita: accessibilità, cultura, turismo.

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Gli abitanti del quartiere si lamentano della mancata raccolta dei rifiuti (foto Benedetta Caira)

È il momento di tirare fuori le idee, assicurano gli amministratori, perché tutti i progetti validi saranno finanziati. L’ultima volta lo aveva promesso il Contratto di quartiere, non se ne fece praticamente nulla. Si può cautamente ricominciare a crederci. Non sarà facile ritrovare l’ottimismo, ma viene come sempre in soccorso la saggezza popolare: Santa Lucia ccu l’uacchi pizzuti, fammi truvari na cosa perduta.

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