«La città è il più importante monumento costruito dall’uomo», ha scritto Vittorio Gregotti, ma di città non si parla da anni nel dibattito su Cosenza-Rende, se non in forme e modi assolutamente generici.
Per l’esteso sistema policentrico che si distende per chilometri nella Valle del Crati, si organizza come sistema lineare lungo il tracciato autostradale da Sud verso Nord e viceversa, interessa le colline, lambisce e raggiunge i centri della memoria storica, da anni si scrive, si dice, si parla di “Area urbana”. Ovvero un generico, indefinito agglomerato di centri, medi e piccoli, che possono, più o meno, essere assimilati ad una informe estensione di edifici e strade, che in questa definizione, riduttiva, è come se non avessero confini e identità.
Unical, la terza città dell’area urbana
Invece, ogni città nasce con un suo “genius Loci”, così che il rispetto di questa origine è dirimente nella continuità tra storia e modernità. Negarne le matrici, annullandole in geografie improbabili e irriconoscibili è negarne passato e futuro.

Nel caso di Cosenza e Rende, per citare le due città più estese dentro una quantità di altre piccole città coinvolte in questi “filamenti”, ci troviamo nel territorio provinciale più ampio della regione, oggi esito di una compulsiva attività costruttiva, con conseguente dilagante urbanizzazione il cui disordine ha disegnato insediamenti a macchia di leopardo. Con una terza città, la più importante per prestigio e credito internazionale, ma che viene anche questa spesso rimossa, e che pure esiste, con una sua identità e valore architettonico, ovvero la città della ricerca, il Campus Unical, con una frequenza giornaliera di almeno 30mila utenti e relazioni nazionali e internazionali.
Una città-territorio-policentrica
Per questo insieme scomposto, esploso, fatto di una abbondante quantità di edilizia anonima, strade, luoghi diversi tra loro, periferie estese, assenza di qualità diffusa, mancanza di centralità originali, parlare di città – e non di area urbana – è far emergere il tema vero su cui fondare una visione di futuro. Tra conflitti e potenzialità, come la quantità di differenti forme insediative sparse lungo un raggio di almeno trenta chilometri, che di fatto delineano un nuovo modello urbanistico, che sfugge alla tradizionale pianificazione, e che è fatto di moderne e incompiute strutture urbane. Qui non siamo davanti ad una semplice “area urbana”, ma dentro una città territorio-policentrica, articolata, complessa, ramificata, socialmente diversificata, economicamente differenziata.
La nuova idea di città post-pandemia
Se insisto, da tempo, su questa sottile, ma fondamentale differenza, è perché la definizione di città, più che mai oggi, necessita di un aggiornamento dopo l’insieme di fenomeni significativi, che nel corso di almeno cento anni, dall’avvento dell’urbanistica moderna, ne hanno modificato senso e funzione.
E città oggi è l’esito dei recenti, moderni processi di crescita e formazione, non sempre pianificati, anzi spesso assenti, città che nasce e si sviluppa su polarità economiche, culturali, sociali, politiche e che dopo la pandemia, ha assunto un carattere ancora più marcato e in progressiva mutazione.
La città post-pandemia, per esempio chiede già alcune scelte precise: meno traffico, spostamenti meno inquinamenti, meno costruito e più verde, meno chiusura sociale e più apertura relazionale, più cultura, più attenzione ai valori e ai servizi.
Cosenza-Rende? Meglio la città del Crati
Ed ecco, per esempio, su queste basi, su tale riconoscimento di ruoli, di pesi territoriali e di gravitazioni, di vere posizioni geopolitiche tra storia e modernità, sul senso di partecipazione dei cittadini e di tutte le forze attive, che si può aprire la discussione sulla fusione tra i diversi centri che fanno corona al capoluogo Cosenza. Perché non solo di una relazione “privilegiata” tra le due big city, Cosenza e Rende, si tratta, ma dell’articolata città-territorio, più ampia e complessa citata, che se non riconosciuta nella forma urbanistica, nelle nuove e articolate morfologie odierne, e nelle dimensioni che ha assunto in circa cinquant’anni, ovvero quello della città estesa della Valle del Crati, resterà incapace di sviluppare qualsiasi forma di collaborazione, nonché di fusione tra centri, che avverrebbe in modi del tutto semplicistici e solo amministrativi.
E a ben guardare il Crati, “espulso” da tempo dalle vite di città e cittadini, che lambisce naturalmente da sempre tutti gli insediamenti, e che nella sua rete ecologica, tra affluenti e sistemi idrici minori, riguarda quasi tutti i centri, potrebbe essere l’elemento unificante e l’unico capace di garantire una vera transizione ecologica, costruendo sul suo antico e prestigioso ruolo di più grande fiume di Calabria, la città che sarebbe soprattutto la Comunità del Crati.
Evitare la sommatoria Corigliano-Rossano
Ma quale ruolo la nuova, futura Città del Crati deve avere nel contesto regionale, meridionale e nazionale, una volta messe insieme le diverse entità, ora separate amministrativamente, potrà garantirlo solo una visione unitaria, proiettata nel futuro di almeno trent’anni, capace di dare respiro, slancio e iniziative urbane per superare le questioni numeriche e puntare alla qualità.

Anche attraverso la somma, positiva, delle diverse identità storiche che comporranno lo scenario futuro, su cui si decideranno scelte determinanti che vanno dalla mobilità, agli spazi di relazione, a quelli della società e dell’economia, della cultura.
Insomma, ciò che è successo a Corigliano-Rossano, dove è mancata persino la creatività di trovare un nome-acronimo comune che potesse rendere identificabile la nuova città, e dove la fusione è stata fatta a freddo, per meri calcoli amministrativi e conseguenti vantaggi (forse solo “per qualche dollaro in più”!), non dovrebbe accadere a Cosenza-Rende, alla Città del Crati, pena un impoverimento e non un arricchimento.
Una mobilità non inquinante per Cosenza-Rende
Rifondare una nuova città in Calabria, da città esistenti, in un momento storico come questo, in piena fase di transizione ecologica, vuol dire uscire dal vecchio modello quantitativo e muoversi su quello qualitativo. Vuol dire sapere tenere insieme la complessa rete di realtà che solo un progetto di mobilità di rango metropolitano, non inquinante, può garantire, vuol dire scelte coraggiose, lungimiranti, ambiziose, ma fondate, che purtroppo non si intravedono nei programmi delle attuali classi di amministratori.