L’ultima doccia di realtà è arrivata, bella fredda, dalla solita Corte dei conti. Che proprio nei giorni scorsi, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, ha aggiunto alla vergogna dei fondi Covid non spesi – 77 milioni di euro di cui si era già parlato a fine anno – quella, ugualmente nota, degli importi pagati per prestazioni già remunerate (quindi pagati due volte), per prestazioni extrabudget, per interessi e indennità non spettanti. Somme «veramente notevoli» che ammontano, in totale, ad «almeno 61/65 milioni di euro». Cioè a oltre due terzi del disavanzo sanitario (91 milioni di euro) emerso dall’ultimo Tavolo “Adduce”.
La strigliata della Corte dei Conti
Il passato e il presente della sanità calabrese sono questo. Li ha descritti impietosamente il procuratore regionale Maria Rachele Anita Aronica parlando del «frequente ricorso, da parte dei creditori delle Aziende sanitarie e, in particolare da parte degli Enti accreditati, allo strumento della cessione di credito a società deputate istituzionalmente al recupero crediti, senza però che il credito sussista o perché già pagato o perché non esistente, per di più, talora, anche sovrastimato».
Le transazioni si sono spesso concluse con il pagamento di crediti in realtà già saldati o di interessi «con conseguenze devastanti in caso di mancato pagamento anche di una sola rata residuale e d’importo notevolmente inferiore rispetto a quanto già pagato». Sono inoltre stati corrisposti «abnormi importi (svariati milioni di euro) per interessi, rivalutazione e spese di giudizio, a seguito di decreti ingiuntivi non opposti e alla nomina dei Commissari ad acta per l’esecuzione del giudicato».
L’Asp di Reggio, si sa, non ha presentato i Bilanci dal 2013 fino al 2018. L’Asp di Cosenza non lo fa dal 2017. Anche le altre Aziende (sanitarie e ospedaliere) non se la passano bene: nel 2020 tutte hanno chiuso in perdita. Le Asp di Reggio e Catanzaro sono state pure commissariate per mafia. E i vari commissari alla Sanità nominati dal governo «non sono riusciti a porre fine al caos contabile e organizzativo né, d’altra parte, hanno potuto contare su un valido reale supporto di personale».
Il deficit della Sanità aumenta
Questo aspetto lo ha evidenziato la Corte Costituzionale in una sentenza del 2021 sul Decreto Calabria. In quel verdetto la Consulta ha scritto: «Solo nella Regione Calabria (…) le irregolarità registrate nella gestione regionale della sanità hanno assunto livelli di gravità mai riscontrati in precedenza». La Corte dei conti ci ha messo sopra il carico: «Purtroppo il caos contabile e la disorganizzazione sono inevitabilmente fonte di mala gestio e terreno fertile per la criminalità organizzata che trova nutrimento in questi fenomeni, prosperando ancor di più».

Un quadro «desolante aggravato dal deficit che, come è stato detto in sede di parifica, non si è ridotto in misura sensibile dopo oltre dieci anni – dal 2009 – anzi è sicuramente di molto superiore, considerato che non si dispone di alcuni dati/Bilanci certi». Per il procuratore regionale è «evidente che se non si pone fine a questa insensata situazione attraverso un’adeguata programmazione, un congruo monitoraggio e utilizzo di idonei strumenti informatici nonché di personale, qualitativamente e quantitativamente appropriato, il rientro dal disavanzo sanitario non potrà avvenire».
Passato, presente e… Azienda zero
Ecco, proprio questo è il punto: come se ne esce? Il presidente/commissario Roberto Occhiuto ha individuato la soluzione – non l’unica ma certamente finora la più rilevante – nella creazione di un nuovo ente, l’Azienda zero. Esiste già in altre Regioni, in cui la situazione è certamente meno grave, e dovrebbe sovrastare tutti gli altri organismi del Servizio sanitario regionale accentrando funzioni molto importanti. Per Occhiuto questo è il futuro della sanità calabrese.
Con l’Azienda zero, e con un aiutino della Guardia di finanza, è convinto di poter tagliare sprechi, doppi pagamenti e altre varie nefandezze mettendo ordine nei conti del sistema sanitario, con tanto di sospirata quantificazione del debito complessivo della sanità calabrese entro la fine del 2022. Dall’istituzione della nuova creatura a oggi si sono però consumati dei passaggi politici e legislativi che probabilmente, tra rimandi normativi e modifiche di articoli e commi, ai cittadini sfuggono nel loro significato reale.
Concentrato di poteri
La legge istitutiva è stata approvata dal consiglio regionale lo scorso 14 dicembre. Tra le competenze assegnate c’è la centralizzazione degli acquisti e l’espletamento delle procedure di selezione del personale delle Aziende del Servizio sanitario. Spese e concorsi, insomma, li gestisce direttamente l’Azienda zero. Che si prende anche gli accreditamenti delle strutture sanitarie e sociosanitarie. Non proprio bazzecole, se si pensa a cosa hanno significato e significano tuttora le assunzioni e gli interessi dei privati per la sanità calabrese.
Ci sono poi le funzioni della Gestione Sanitaria Accentrata (GSA). Si tratta di un cervellone che tiene la contabilità di tutti i rapporti economici, patrimoniali e finanziari intercorrenti fra la Regione e lo Stato, le altre regioni, le Aziende sanitarie, gli altri enti pubblici e i terzi. Pure questa non è esattamente robetta. Viene da chiedersi cosa rimanga alle Asp e a cosa serva mantenere in vita il dipartimento regionale Sanità.
Le prime modifiche ad Azienda zero
Comunque: un altro passaggio legislativo si è consumato lo scorso 28 febbraio. Il consiglio regionale ha approvato due proposte di legge che modificano quanto era stato previsto a dicembre per il nuovo moloch della sanità calabrese. La prima porta la firma di due fedelissimi del presidente, Pierluigi Caputo e Salvatore Cirillo. Tra gli «interventi di manutenzione normativa» hanno inserito l’assegnazione all’Azienda zero di tutto il sistema regionale dell’emergenza urgenza 118 ed elisoccorso e il numero unico di emergenza 112.

Ma non solo: il nuovo ente attuerà «la programmazione, il controllo e il monitoraggio dei Lea in materia di emergenza urgenza e pre e intraospedaliera in linea con gli indirizzi regionali e nazionali». Anche questa non una cosa da poco: i Lea (Livelli essenziali di assistenza) risultano decisivi ogni qual volta il governo verifica lo stato di attuazione del Piano di rientro.
Il baratto tra Governo e Occhiuto
L’altra proposta approvata a fine febbraio porta invece la firma dello stesso Occhiuto. È composta da una serie di modifiche che, con ogni evidenza, il governo ha chiesto in cambio della decisione benevola di non impugnare la legge istitutiva. In alcuni casi si tratta di refusi o di chiarimenti interpretativi. In altri proprio no. Come nel caso della cosiddetta norma di salvaguardia.
Questa ha lo scopo di «garantire le prerogative spettanti al commissario ad acta fino al termine del periodo di commissariamento, nonché a salvaguardare l’applicazione delle norme nazionali». Sembrano passaggi tecnici, ma sono sostanziali. La norma specifica che fino a quando sarà in atto il commissariamento sono «fatte salve, nell’attuazione della presente legge, le competenze attribuite al Commissario ad acta».
Il pallino resta in mano a Roma
La seconda aggiunta prevede che la legge su Azienda zero si applichi «laddove non in contrasto con quanto disposto dal decreto-legge 10 novembre 2020, n. 150 (il “Decreto Calabria”, ndr). È chiaro, insomma, che il governo si è tutelato: ha messo dei paletti all’Azienda zero e ha richiamato la centralità del commissario. Che sì, al momento è sempre Occhiuto, ma ove mai si incrinasse qualcosa nei suoi rapporti con Roma, Palazzo Chigi potrebbe nominare qualcun altro togliendo il pallino della sanità dalle sue mani. La nomina del direttore generale dell’Azienda zero, che ne è il legale rappresentante ed esercita le funzioni della GSA, spetta infatti al commissario ad acta.
Azienda zero: un nuovo carrozzone?
Il governatore/commissario, nel dare vita alla sua creatura, si è comunque guardato dal ricalcare la frettolosità di chi guidava la Regione nel 2007. Era l’epoca Loiero-Lo Moro e, a sorpresa, il consiglio regionale, con un emendamento al collegato alla Finanziaria, cancellò le 11 Aziende sanitarie locali per creare, al loro posto, le attuali cinque Asp provinciali. L’articolo 1 della legge sull’Azienda zero dispone invece che l’ente entri in funzione solo nel momento in cui la giunta regionale approverà una delibera che ne disciplini i tempi di attuazione.

Dunque al momento esiste solo sulla carta. E resta da vedere se la creazione di questa Azienda, che come ogni nuovo ente pubblico in Calabria è ad alto rischio carrozzone, possa davvero rivelarsi la cura giusta per le purulenti ferite della sanità calabrese. Che continuano a sanguinare debiti e disavanzo. E assorbono, come da ultimo bilancio approvato dalla Regione, il 62% delle risorse a disposizione: 3,9 miliardi di euro solo per il 2022.