Fare chiarezza. Sgombrare il campo dalle ideologie. Partire dai dati. Programmare un cambio di paradigma. Quando si parla di aree interne non si può prescindere da questi elementi.
Chiarezza e ideologia
Di fronte al chiasso cui assistiamo da settimane, sarebbe opportuno abbassare i toni e fare pace con un dato incontrovertibile: la strategia del laissez faire ha fallito, territori e comunità vanno indirizzati e governati perché da questo dipende, come in ogni organismo, il futuro e la buona salute di tutto il sistema. Ritenere che il governo di un Paese costituito per buon 80% da cosiddette aree interne voglia abbandonarle a loro stesse è una falsità. Non può esserci strumentalizzazione politica: se siamo giunti a questa zona liminoide, non è accaduto per responsabilità o colpe dell’oggi, ma è il risultato di un processo di abdicazione e abbandono della politica da almeno 50 anni a questa parte. Chiamatela miopia, incapacità di visione, superficialità, ma tant’è. Siamo tutti responsabili, anche le belle addormentate nel bosco risvegliatesi a un tratto da lunga narcolessia.

L’ineludibile durezza dei dati
Crudi, freddi, duri, ci raccontano dinamiche che conosciamo da tempo ma che abbiamo fatto finta di non vedere, disperdendo risorse e fondi in programmazioni e interventi a impatto sociale irrisorio di fronte ai veri elefanti nella stanza: la denatalità, che colpisce tutta la Nazione e il deficit di investimenti produttivi e infrastrutturali. Ora ci accorgiamo che pensare di sostituire il senso di una civiltà, quella contadina, morta da tempo e trucidata dal dominio culturale americano, con botteghine, escursioni, ed enogastronomia è una pia illusione.
La “Restanza” è una illusione
Una società vecchia è una società che va a morire e che per sopravvivere ha bisogno di una cosa: riprodursi. Va da sé che, pur stanti le condizioni attuali, non c’è restanza che tenga di fronte al crollo di sistemi produttivi – pur basati su allevamento e agricoltura – che costituivano le vere catene del valore dell’entroterra. Catene che davano lavoro, opportunità di vita e custodia del territorio e che torneranno prepotentemente di primo piano. Allo stesso modo non c’è fiscalità di vantaggio che attecchisca senza investimenti produttivi (il Meridione d’Italia è già una grande ZES). Non parlo di grandi impianti dell’acciaio o centrali a carbone, ma insediamenti che coinvolgono risorse già presenti sul territorio da mettere a sistema: agricoltura, zootecnica, bioedilizia, filiera delle pietre, ecc. Un moderno Pacchetto Colombo, figlio di queste tempo e delle tecnologie a nostra disposizione.
Categorie e definizioni
Cosa è oggi un’area interna? Per gli immaginari creati da narrazioni erronee, spesso romanzate o edulcorate, le aree interne sono percepite come le famigerate terre dei padri nel panorama mentale degli espatriati, o la panacea per chi fugge dai grandi conglomerati urbani. Aree “pure” dove il tempo è rimasto sospeso e la natura si è riappropriata di ciò che le apparteneva e le apparterrà, in omaggio al modello bomboniera tanto à la page. Invece no. Non stiamo parlando di vallate rigogliose e pizzi di montagna ascetici. Le aree interne corrispondono a quelle periferiche o ultraperiferiche che, da colline e montagne, si sono allargate alle marine. Quelle che la popolazione abbandona per mancanza di opportunità in una dinamica che produce desertificazione.

Cambiare paradigma e trovare una strategia
Bisogna individuare una strategia che inverta questa deriva, ricordandoci che il pane si fa con la farina che si ha. A chi parla di rigenerazione, chiediamo: Di cosa? E come? In quanto tempo? Con chi? Troppo facile che amministratori e studiosi si indignino per uno stato di fatto che hanno contribuito a creare se non altro con una muta connivenza. Piegando la testa. Tirando a campare. Pensando a sistemare i propri figli a Milano, Roma, Londra, New York o Katmandù. Vogliamo impegno, visione, coraggio e pragmatismo. A partire dal fatto che pensare di riportare una situazione, per molti versi irrimediabilmente compromessa, alla mitica età dell’oro degli anni Sessanta, dello stavamo-meglio-quando-stavamo-peggio, significa illudersi.
Ripensare i luoghi
Le aree interne vanno ripensate fuori dalle logiche consunte di cui sono sempre state vittime: è necessario razionalizzare la spesa pubblica unendo i servizi essenziali per territori contigui e sostituire certi parametri di valutazione: impossibile oggi commisurare la sopravvivenza dei servizi delle aree interne sul mero numero di residenti permanenti. Bisogna invece commisurare la capacità di programmazione e attuazione di politiche di rinascita di luoghi e comunità e innestare un sistema premiale. Prendiamo Bova o, più recentemente, di S. Agata del Bianco che sono tornate a vivere investendo sul loro capitale culturale e ammiccando alla capacità di poter offrire alti standard di qualità della vita. O Roccella Jonica, sulla carta sopra i 5.000 residenti, che sta realizzando un’importante porto turistico puntando a strutturarsi come presidio portuale diportistico più importante dello Jonio reggino.

Le opportunità del digitale
Non dimentichiamoci del digitale e delle nuove tecnologie che consentiranno presto di migliorare e mutare le condizioni di lavoro e andare in soccorso a settori tradizionali, rivelandosi potenti alleati in questo cambio di paradigma che ha comunque bisogno di persone nuove e nuove energie. Di nascite.
Le proposte della politica
Non sarà certo la recente proposta del PD in Consiglio Regionale di assumere oltre 2.000 forestali per arginare lo spopolamento a rappresentare una soluzione. Un ruolo poteva averlo il PNRR, ma da grande Piano Marshall Europeo si è trasformato in un contenitore di interventi di pseudo-rigenerazioni di varia foggia più attente alle piazzette che alle infrastrutture.

Ultima chiamata
É necessaria una chiamata alla raccolta: uno sforzo condiviso multilivello e multistakeholder di visione, programmazione e attuazione che sappia coinvolgere quella parte sana del Terzo Settore che da sempre supplisce alle carenze del pubblico, in settori come sanità (13,1% di tutti gli ETS) ed assistenza educativa. A patto che le amministrazioni pubbliche, ivi comprese le università chiamate ad attuare la loro Terza Missione, si assumano finalmente la responsabilità che hanno nei confronti dei territori che amministrano e, nel caso della politica, che la eleggono. Impariamo a remare tutti dalla stessa parte.

