I “subburchi” e la Pasqua: dai giardini di Adone a quelli di Cristo

Fiori e piante, specie nel Sud Italia, fanno parte di riti e folklore legati alla morte e alla resurrezione di Gesù. Succedeva anche nell'antica Grecia con le Adonie, ma le differenze tra i Sepolcri di oggi e il culto del dio del grano non sono poche

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Ricordo che a Pasqua con gli amici giravamo nelle chiese cosentine per i subburchi. Dovevamo vederne almeno tre e comunque in numero dispari. I preti ci dicevano che quei semi di grano cresciuti al buio simboleggiavano la morte di Gesù e, una volta germogliati e diventati biondo-oro, rappresentavano la sua resurrezione. Le nostre mamme, prima del periodo pasquale, seminavano grano, lenticchie, cicerchie e ceci dentro piatti o ciotole che conservavano al buio e bagnavano ogni due giorni.

La tradizione dei subburchi

Le piantine, una volta cresciute, legate con nastri di vario colore e adornate di fiori, venivano portate in chiesa il giovedì e poste accanto all’immagine di Cristo morto. Il Venerdì Santo, il più triste della Settimana Santa, gli altari erano spogliati dei paramenti e le immagini sacre coperte da un panno nero. Il mattino di Pasqua, al termine della messa, le donne portavano via il «grano santo» e lo piantavano negli orti o lo regalavano alle vicine come buon augurio.

Il dio del grano e quello dei cattolici

Anche le donne greche durante le Adonie seminavano grano, legumi e fiori nei vasi di terracotta. Cresciute le piantine, le ponevano accanto alle immagini di Adone morto. Al termine delle celebrazioni, prendevano i vasi con i germogli ormai appassiti e li gettavano nelle fonti d’acqua insieme alle statuette del dio. Secondo Frazer, Adone, che in lingua semitica significa «Signore», come altre divinità orientali che morivano e resuscitavano, era un dio del grano e della vegetazione. Le Adonie erano destinate a promuovere la crescita o il rinvigorimento della vegetazione secondo il principio della magia imitativa: riproducendo la vita delle messi, i contadini pensavano di assicurarsi un buon raccolto.

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John Reinhard Weguelin, “I Giardini di Adone” (1888)

La rapida germinazione del grano e dell’orzo nei «giardini di Adone» aveva lo scopo di far crescere i cereali, così come buttare i «giardini» con le statuette del dio nell’acqua propiziavano la pioggia fertilizzatrice. I «giardini di Adone» erano dunque una ritualità misterica sperimentata per incoraggiare la crescita della vegetazione, rappresentavano il risveglio primaverile della natura dal sonno invernale.

Subburchi come le Adonie? C’è chi dice no

Questa interpretazione, tuttavia, non trova tutti d’accordo. Detienne, ad esempio, osserva che le Adonie si celebravano in estate e non in primavera, e cioè nei giorni della canicola e dell’aridità. I «giardini» verdeggianti e vivaci non rappresentavano rinascita e vita, ma morte e desolazione. Il rigoglio era illusorio, rivelava l’impotenza a fruttificare: appena verdi, infatti, le piantine inaridivano velocemente sotto il calore del sole estivo. Al termine della ritualità, inoltre, le donne gettavano i vasi e il contenuto nell’acqua fredda delle sorgenti o nel mare infecondo.

Adone era un adolescente precoce ma impotente e improduttivo, un seduttore straordinario ma sterile ed effeminato, in definitiva non un dio della vegetazione ma della sterilità. Detienne aggiunge che nel rituale greco le piantine stavano in piccoli recipienti, non nella vasta terra nutrice; godevano del solo periodo della canicola, non della maturazione lenta e naturale; avevano un ciclo di otto giorni, non di otto mesi (il tempo che intercorre tra semina e mietitura). Senza maturità, radici e frutti, con la loro rapida e illusoria fioritura, i giardini infecondi erano agli antipodi dell’agricoltura.

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Marcel Detienne

Affinità e divergenze tra i due culti

Frazer sostiene invece che la ritualità dei Sepolcri, praticata soprattutto in Calabria e Sicilia, era la continuazione sotto diverso nome del culto di Adone. Secondo lo studioso, i drammi sacri erano sopravvissuti in queste regioni perché colpivano l’immaginazione e toccavano i sentimenti di una «razza», quella meridionale, disponibile per temperamento (a differenza di quella teutonica) verso le cerimonie caratterizzate da pompa e magnificenza. La Chiesa, con grande abilità, soprattutto per celebrazioni come quella del Cristo morto e resuscitato, aveva innestato la fede cristiana sul «vecchio tronco» del paganesimo.

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La somiglianza tra i «giardini di Adone» e i «sepolcri di Cristo» è indiscutibile, ma la filiazione diretta è tutt’altro che scontata. Indubbiamente i «Giardini di Gesù», ancora oggi allestiti dalle donne in occasione del Venerdì Santo, ricordano i «Giardini di Adone». Ma fra le due ritualità esistono più differenze che somiglianze. La festa delle Adonie si svolge nelle abitazioni private mentre quella della Pasqua nelle chiese; la prima si evolve in un clima sregolato e indecente, la seconda in un clima sommesso e solenne; l’una si caratterizza per la libertà sessuale, l’altra per la continenza; la prima è all’insegna di abbuffate e allegre bevute, la seconda del digiuno e della sobrietà; la prima è una festa allegra e rumorosa delle cortigiane, la seconda il rito luttuoso e angosciante delle madri.

L’importanza della memoria e dell’oblio

Bisogna studiare con attenzione le tradizioni folkloriche e soprattutto non sopravvalutare la «memoria collettiva». L’uomo ha bisogno dell’oblio come della memoria, ha necessità di dimenticare come di ricordare. A volte ha cattiva memoria e dimentica, a volte inventa, a volte ricorda i minimi particolari, a volte accade che alcune credenze rimaste nell’ombra si ridestano e ritornano a galla. Spesso si parla della «memoria collettiva» come di un organismo dotato di una psiche comune, di un qualcosa che contiene tutti i ricordi. In realtà capita spesso che gruppi di individui, a volte intenzionalmente, non trasmettono quanto conoscono alle generazioni successive, che nel processo di ricostruzione del passato alcuni fatti sopravvivano mentre di altri si perda traccia.

Non esiste un mondo statico, la realtà è in continuo movimento, le società sono sottoposte sempre a nuovi condizionamenti culturali e materiali. Una ritualità che si richiama a un evento mitico, se non trova un equilibrio nelle sue molteplici funzioni e se viene meno quel flusso di informazioni e credenze tramandate da una cultura all’altra, può anche avere fine. Quando un mito non è più un elemento vitale per una comunità cessa di esistere. Ci sono miti che si modificano, perdono di senso, appaiono e scompaiono, riaffiorano in altri miti.

Vecchie e nuovi miti

A volte alcuni miti sembrano simili tra loro, ma lo sono solo apparentemente. Capita che l’uomo utilizzi vecchi miti dando ad essi significati nuovi o riempia nuovi miti di significati vecchi. Come ogni cosa, i miti nascono e muoiono. Per non rischiare di fare generalizzazioni bisogna bisogna inquadrare le tradizioni popolari nel tempo in cui nascono e si sviluppano. La cultura muta continuamente, la produzione delle idee è direttamente intrecciata all’attività e alle relazioni materiali. Le tradizioni popolari non si sottraggono ai mutamenti sociali e alla dinamica delle forze creative umane: esse, come direbbe Mauss, sono un fatto sociale totale, investono tutti gli ambiti della vita dell’uomo e coinvolgono la società nei suoi molteplici aspetti.