Negli ultimi giorni il Fatto Quotidiano ha dato spazio a un paio di articoli in merito a una presunta gravità del danno paesaggistico che si starebbe causando per via dei lavori in corso sul 3° Megalotto della Strada Statale 106. Quelli che interessano il tratto di costa ionica in corrispondenza del castello di Roseto Capo Spulico. Nel primo di questi due articoli sono stato fin troppo magnanimamente menzionato dall’ottimo Marco Lillo per aver pubblicato, anni fa, un mattone di libro sulla storia di Roseto.
Ora vorrei ribattere al suo collega Tomaso Montanari, il quale lunedì 18 agosto ha ripreso l’argomento. E vorrei farlo non tanto in quanto autore del citato saggio né in quanto – come Lillo – originario anch’io di lì, sebbene solo per metà ma dalla bellezza di circa 25 generazioni. Ma piuttosto in veste di conoscitore abbastanza consumato sia della viabilità che del paesaggio, appunto, della nostra Penisola (chi ha seguito la mia rubrica in questo giornale può ricordare di cosa parlo).
Montanari, bravo ma distratto
Colpisce come Montanari, che di base è proprio uno storico dell’arte, sottolinei il dato paesaggistico senza menzionare la questione archeologica (se conoscesse quel territorio saprebbe che con enorme probabilità gli attuali scavi avranno riportato alla luce qualcosa, e nulla se ne è saputo e molto dovrebbe sapersene). Ma soprattutto colpisce come si allinei anch’egli al corrente piagnisteo che, a parer mio, andrebbe un tantino ridimensionato (a meno di non voler creare un caso per soffiare sul vento contrario alla costruzione del Ponte sullo Stretto…).
Dico che andrebbe ridimensionato per due motivi: è giusto protestare ancora oggi ma sarebbe stato certamente molto più giusto e soprattutto utile farlo quando i progetti venivano presentati, anni e anni fa, e poi approvati (nel 2007, sotto il governo Prodi II), e poi pubblicati (persino scaricabili gratuitamente dalla rete). Protestare così tardi rischierebbe soltanto – lo si sapesse almeno fare davvero – di bloccare i lavori e direi che se c’è una cosa di cui il Mezzogiorno non ne può proprio più sono i lavori lasciati a metà. E poi perché protestare è saggio e sacrosanto quando si ha un’alternativa da proporre. E qui non c’è.

Un tratto di strada stretto e pericoloso
Nel caso specifico, quel preistorico tratto di strada sta antipatico al 90% degli utenti (oltre che pericoloso per quant’è stretto) a causa dei suoi rallentamenti biblici e dell’impossibilità di sorpassare a meno di non aver già fatto testamento. Ad amarlo siamo rimasti forse solo io e altri quattro nostalgici che ancora evitiamo le autostrade per tutta una serie di questioni idealistiche che tralascio e che siamo gli ultimi ad amare grandi opere & affini. Ma bisogna ammettere che davanti alla necessità e alle mancanze di alternative c’è poco di che cavillare: che quel tratto di strada fosse da ampliare è certo. Le alternative erano solo due: quella attuale, 239 miseri metri di sottopassaggio in corrispondenza dell’unica e pertanto indispensabile e insostituibile salita che porta al centro storico; oppure quella pure ipotizzata inizialmente, che prevedeva una lunghissima galleria poco più all’interno rispetto alla costa.
Quelli che protestano dovrebbero sapere che la costruzione di quell’ipotetica galleria sarebbe andata incontro a impedimenti tecnici molto gravi e ampiamente documentati. E che sarebbe costata all’erario molto di più rispetto ai lavori attuali. Sembra poi che nessuno si sia premurato di confrontare le mappe della viabilità preesistente con quelle del progetto in corso. Perché questo mastodontico scempio, di cui si parla tanto, semplicemente non esiste. E ancor meno sussisterà quando i lavori saranno terminati.
Tra poco potrebbe toccare alla ferrovia
Preparatevi già da ora, anzi, perché prima o poi dovrà essere allargata anche la ferrovia, se la si vuole ancora. E quella sì che è a ridosso del castello. E lì si che cascherà l’asino. Oppure, in nome del paesaggio, dovremmo smantellare ferrovia e vecchia statale, tornando alla mulattiera tanto percorsa nel Settecento in lungo e poco in largo dai viaggiatori del Grand Tour? Mi viene da pensare a quelli che tuonavano contro l’impatto delle pale eoliche e poi però non avrebbero mai sfiorato un vecchio mulino a vento. Occorrerebbe un minimo di senso della storia, della non-centralità del tempo in cui ci capita di vivere. Chissà se ai tempi di Federico II qualche miope s’era lamentato perché il sovrano stava costruendo uno scempio di fortino militare-doganale in cima a una roccia nuda, a picco sul mare cristallino…Forse un Montanari l’avrebbe fatto.
Effetti non desiderati
Ma articoli come il suo, purtroppo, producono soltanto l’effetto – spero non voluto – di soffiare sull’analfabetismo funzionale che già lussureggia in questo dannato Paese: ho letto, dopo il suo intervento, commenti di persone pronte a battersi per non far distruggere il castello (ma chi vuole toccarlo?), dispiaciute perché in galleria non si vedranno né il mare né il castello e fuori li si vedrà troppo poco (a meno di non guidare a occhi chiusi – che non è prudente –, il castello e il mare si vedranno eccome e, a mali estremi, si potrà sempre percorrere la vecchia strada), indignate perché il fatto che il castello sia privato puzzerebbe un po’: cari signori, quel castello è sempre stato privato, a esclusione di quando fu fatto costruire nella teoria delle fortificazioni militari del Regno, ma sono trascorsi più di sette secoli….

Il bene che lo Stato non volle comprare
Passato poi di feudatario in feudatario, è stato poi per secoli adibito soltanto a dogana e osteria, con tanto di antiche storie picaresche poco edificanti (non immaginatevi principi azzurri e svenevoli castellane dalle lunghe trecce. Tutt’altro). E rimase poi nelle mani di privati pure dopo l’abolizione della feudalità. E sapete come mai? Perché nonostante già nel 1915 le Belle Arti avessero notificato il vincolo, lo Stato ha rifiutato nero su bianco di esercitare il diritto di prelazione che vantava sul bene, in occasione dell’unica compravendita tra privati (si veda la risposta del ministro Vizzini, del 28 gennaio 1988, all’interrogazione del senatore Garofalo). E dire che lo si poteva acquistare, all’epoca, a un prezzo tutt’altro che esorbitante…

Andiamo a Roseto, finché c’è…
Montanari tiene invece a farci sapere di aver citato lodevolmente il castello in un libro per i licei, e noi commossi prendiamo atto della notazione degna di una pagina del libro Cuore. E poi conclude questa sorta di tema per le vacanze esortando: “Andiamo a vedere Roseto Capo Spulico, finché c’è”. Ora: direi che attribuire ai lavori in corso addirittura la prossima scomparsa di tutto il paese di Roseto, marina e centro storico, mi pare un tantino di cattivo gusto e non vorremmo che a Roseto fossero costretti a fare scongiuri. San Rocco – veneratissimo nel paese ma anche patrono di viaggiatori e selciatori – potrebbe prendersela molto a male. No, ecco, Roseto ha bisogno di turisti, non di tuttologi e nemmeno – per dirla con Enrico Panunzio – di “miseristi in casco coloniale, che si sono fermati a Eboli, dietro i caciocavalli”. E, soprattutto, non di menagrami.

