Politici cosentini sulle orme dei padri

Le segreterie dei vari Mancini e Misasi erano prese d'assalto da chi chiedeva favori e posti di lavoro. La moltiplicazione incontrollata di impiegati e funzionari. La città del cemento, della "borghesia senza qualità" e del numero spropositato di avvocati

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Sono in molti oggi a denunciare che gran parte della classe politica locale è poco colta ed egoista. Afflitta da quei mali indicati da Banfield, persegue solo gli interessi particolari e non quelli della comunità, con conseguenti effetti disastrosi nella gestione del bene pubblico e della vita politica. La difesa dell’interesse comune è attuata prevalentemente in caso di vantaggio personale e la trasgressione delle regole è prassi comune e garantita dall’immunità. Molti “politicanti” tendono alla migrazione nei partiti più forti del momento, determinando così l’instabilità delle forze politiche e delle amministrazioni; una volta eletti, cercano di assicurarsi vantaggi materiali a breve termine e sono portati a ricambiare con favori coloro che li hanno votati e a penalizzare gli avversari.

La 285 e un popolo di bibliotecari

Si dice che gli amministratori odierni sono incapaci e per questo motivo Cosenza ha perso l’importanza che aveva negli anni trascorsi, centralità determinata da parlamentari che le davano lustro e prestigio. Mancini e Misasi, i più noti politici cosentini, avevano svolto importanti incarichi di governo e coperto ruoli di dirigenza nazionale nei rispettivi partiti. I giudizi di alcuni storici locali su questi due leader sono stati lusinghieri dimenticando che anch’essi non erano estranei a una politica clientelare e familista, che le loro segreterie erano affollate da gente che chiedeva favori.

L’ex ministro e segretario del PSI, Giacomo Mancini

Erano tempi di «vacche grasse». Grazie alla legge 285, ad esempio, negli uffici della città si moltiplicarono impiegati e funzionari. La Soprintendenza per i Beni Culturali e l’Archivio di Stato furono arricchiti da un tale numero di dipendenti che non si riusciva a collocare negli uffici per mancanza di stanze, sedie e scrivanie. Presso la Biblioteca Nazionale oltre cento impiegati dovevano occuparsi di un patrimonio di appena seimila libri e su alcuni quotidiani come Repubblica si scriveva che i cosentini erano diventati un popolo di bibliotecari!

L’ex ministro democristiano Riccardo Misasi
Le responsabilità dimenticate

Molti rimpiangono i politici del passato dimenticando la loro responsabilità riguardo allo scempio edilizio. Le riflessioni degli addetti ai lavori sulle vicende urbanistiche della città sono state superficiali e addomesticate. In un volume curato dal Dipartimento di Pianificazione Territoriale dell’Università della Calabria, si leggono generiche considerazioni sui piani regolatori e solo in pochissimi scritti emergono critiche alla classe politica. Sabina Barresi ricordava che Cosenza viveva una profonda crisi di identità e che la crescita, senza alcun disegno urbanistico, aveva causato la perdita dei confini urbani e la creazione di «spazi muti contenitori del disagio».

L’inizio del ponte Pietro Bucci all’Università della Calabria

Tali trasformazioni, succedutesi nel tempo, non erano state indotte da pressioni economiche, ma da atti di volontà politica. Faeta aggiungeva che la città era stata abbandonata alla prepotenza della logica di mercato e che solo amministratori responsabili, dotati di idee chiare e capacità di progettazione, avrebbero potuto evitare una espansione edilizia tanto devastante.

Cemento e cattedrali nel deserto

La città nuova è caratterizzata da edifici anonimi, scialbi, privi di valore architettonico. I rioni popolari, come quelli di via Popilia, Torre Alta e via degli Stadi, presentano strutture urbane degradate, simili a quelle delle periferie delle grandi metropoli. Ad osservarla dall’alto del colle Pancrazio, Cosenza nuova si presenta come una distesa di cemento che continua a svilupparsi in modo caotico in tutte le direzioni, un ammasso di palazzi dove è impossibile distinguere un quartiere dall’altro.

Degrado nel popoloso quartiere di Via Popilia a Cosenza

Nel corso del tempo, l’incontrollato aumento delle costruzioni, ha annullato i confini e così il capoluogo si confonde con i paesi limitrofi e si assiste alla fuga dei cittadini dal centro. Al saccheggio della città hanno partecipato tutti. Quando si decise di smantellare la vecchia stazione ferroviaria e costruirne una nuova nella decentrata contrada Vaglio Lise nessuno ha protestato. Col senno di poi, si critica quella scelta sciagurata riconoscendo il danno irrimediabile arrecato a Cosenza. La vecchia stazione si trovava in pieno centro mentre la nuova non è che un ecomostro semi-abbandonato, dalle pareti scrostate e cadenti, da cui partono e arrivano solo pochi treni per Paola e Sibari.

Si tratta di una struttura in calcestruzzo armato, con ben sette binari per i viaggiatori e tre per il servizio merci, dotata di palazzine e di un enorme atrio adatti per una metropoli. Al viaggiatore appare come una spettrale cattedrale nel deserto, lontana dalla città e mal collegata, con parcheggi sotterranei bui e sporchi. Oggi si discute se abbattere questo inutile quanto orribile mausoleo.

La città degli avvocati

I politici di oggi non posseggono carisma, non ricoprono incarichi di rilievo nel governo centrale, non sono conosciuti sul panorama nazionale, ma il loro modo di intendere la politica non è molto diverso da quello dei loro predecessori. Del resto molti di loro sono figli o parenti di quei politici, altri sono cresciuti nelle segreterie o «correnti» di partito. Tutti appartengono a quella piccola e media borghesia impiegatizia e del lavoro autonomo che teneva saldamente il potere in città e che, come scriveva Gramsci, si rivelava incapace di svolgere un qualsiasi compito storico.

Tra le categorie professionali che hanno condizionato maggiormente la vita cittadina, emerge quella degli avvocati. Piovene, alla metà del Novecento, si meravigliava dello «spettacoloso» numero di legali di Cosenza che condizionava perfino i ritmi della vita sociale: in città si faceva colazione tardi perché i legali comparivano in tribunale fra le undici e mezzogiorno. Oggi il numero degli avvocati è addirittura aumentato. Quasi ogni portone mostra la targa di uno studio legale, a volte si tratta di studi associati dove lavorano sino a dieci professionisti.

Presso l’Ordine degli Avvocati di Cosenza, qualche anno fa risultavano iscritti 1067 avvocati al settore civile ed affari giudiziari, 538 a quello penale e 188 a quello tributario-contabile-amministrativo, per un totale di 1793 professionisti. A questa cifra bisognava sommare le centinaia di dottori praticanti e i giovani laureati in giurisprudenza che, di fronte alla concorrenza spietata e all’impossibilità di avviare un proprio studio, sceglievano altre carriere.

L’ingresso del tribunale di Cosenza
Lo stupore degli stranieri

I viaggiatori stranieri che nel corso dei secoli visitarono Cosenza erano colpiti dall’ambiguità e dalla doppiezza dei loro «anfitrioni altolocati». Tavel agli inizi dell’Ottocento scriveva che quando avevano interesse a persuadere qualcuno, usavano astuzia e maniere striscianti e, se non si aveva esperienza della perfidia di cui erano capaci, si rimaneva puntualmente beffati; dotati di grande talento nel giudicare il carattere delle persone, estremamente furbi e adulatori, non risparmiavano alcun mezzo per raggiungere i propri fini.

De Custine affermava che erano allo stesso tempo gli uomini più falsi e più sinceri che aveva conosciuto: quando l’interesse lo esigeva mentivano con tanta finezza e abilità da far apparire vero il falso; mostravano un’ingenuità disarmante, che faceva paura quando si scopriva che era menzognera e lontana dall’innocenza. Ogni volta che conversava con i calabresi il francese era confuso non riuscendo ad afferrare il loro reale pensiero. Capitava che essi accusavano un uomo per infamarlo e contemporaneamente lo giustificavano, che ne criticavano le azioni aggiungendo che in fondo il suo scopo era lodevole: in sostanza, dopo aver dimostrato la meschinità del malcapitato, ne diventavano avvocati difensori. Per qualsiasi estraneo era praticamente impossibile riconoscere la verità in contraddizioni così artificiosamente combinate.

Chiacchiere e ricerca di visibilità

Padula definiva eruditi e politici cosentini «eloquenti chiaccheroni». Vantavano una formazione classica, dirigevano le Società Economiche preposte a promuovere lo sviluppo di agricoltura e industria, ma non distinguevano un’erba da un’altra, sprecavano tempo e parole perdendosi in astratte generalità senza che arti ed industrie se ne avvantaggiassero. Sempre Padula, il 9 marzo 1864 scriveva: «Far visite e ricevere visite dall’autorità, accompagnarle al teatro e al passeggio, correre ogni mattino ad informarsi della salute del loro signore e delle loro gatte è la massima delle sue felicità… Signor Intendente, signor Generale, signor Giudice, mi permetta che prenda un sigaro; e dice questo a voce alta, perché la gente che si trovasse sulla via sapesse ch’egli era amico del Giudice, del Generale e dell’Intendente».

I partiti si dividono perfino la toponomastica

I rappresentanti della piccola e media borghesia cittadina, militando in diversi partiti, si sono fronteggiati per governare la città e, tuttavia, sono stati sempre coesi come ceto sociale. Ciò è evidente anche nella scelta dei nomi con cui intitolare strade e piazze. A parte alcuni nomi «ad effetto», come quelli di Andy Warhol, Keith Haring o Jean-Michel Basquiat, sconosciuti alla maggior parte della popolazione e forse agli stessi amministratori, le altre scelte sono il frutto della spartizione tra i vari partiti politici.

Chi ha proposto la nuova toponomastica, ha sottolineato di avere selezionato nomi noti e meno noti di persone che hanno lasciato un segno nella vita della comunità a prescindere dall’appartenenza politica. Entrando nel merito, si trovano politici e professionisti responsabili del caotico sviluppo edilizio e della gestione clientelare e familistica della cosa pubblica.

La tendenza ad affermare il primato del proprio gruppo sociale nella storia è un processo iniziato molto tempo fa. Vie e piazze della città erano in passato dedicate ai mestieri e al commercio che vi si svolgeva. C’erano vie e piazze dei Cordari, dei Casciari, delle Concerie, degli Orefici, dei Mercanti, dei Sartori, dei Pignatari, dei Sellari, dei Forni, dei Pettini, della Neve, delle Uova e dei Follari. Nel settembre del 1898, la Commissione Municipale di Cosenza composta da legali, insegnanti e ingegneri, comunicava di aver cambiato la denominazione di alcune strade e piazze perché le intitolazioni «consigliate dal popolo» erano «volgari e poco simpatiche».

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