Oltre i confini delle scienze, praticare l’interdisciplinarità

Il futuro della ricerca è interdisciplinare e all'Unical si pensa a raccogliere i lavori fin qui svolti e realizzare una pubblicazione che ne rappresenti i contenuti

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Mentre in giro per il mondo cresce la voglia di confini e linee che separano, nelle aule dell’Unical certe sere puoi trovare studiosi e studiose impegnati a superarle quelle linee di demarcazione, almeno sul piano delle scienze, sforzo che comunque rappresenta una potente e non facile novità. “E’ l’interdisciplinarità, bellezza e non puoi farci niente”, avrebbe detto Bogart nelle vesti del direttore di giornale nel film L’ultima minaccia e in un certo modo avrebbe avuto ragione, visto che la complessità del sapere e delle forme attraverso cui la società si manifesta, esige uno sguardo capace di «attraversare i confini», come spiega Sonia Floriani, sociologa del Dispes.

Superare i confini tra le scienze

Questo attraversamento di linee è un cammino intrapreso da tempo tra i cubi dell’Unical, su spinta proprio dei docenti del Dispes guidato da Giap Parini. In almeno altre due occasioni occasioni il Dipartimento di Scienze politiche ha chiamato scienziati sociali e matematici, fisici e filosofi a guardare assieme le cose del mondo e sembra che sia giunto il momento in cui «non abbiamo solo parlato di interdisciplinarità, ma l’abbiamo praticata – dice Parini senza celare la sua soddisfazione – siamo andati oltre le articolazioni delle nostra discipline e dei metodi di indagine».

Si scopre quel che era sotto gli occhi sin dall’inizio e che tuttavia non appariva con chiarezza perché in tanti erano troppo impegnati nel difendere recinti e ambiti di ricerca e cioè che la conoscenza stessa è interdisciplinare, fatta di molte cose, tra esse intrecciate in modo tale da negarsi allo sguardo del singolo, per svelarsi invece allo sguardo di molti.

Gli Studi di genere naturalmente interdisciplinari

Qualcuno però quei confini li aveva già dati per superati da tempo. Gli Studi di genere, così detestati dai nuovi poteri globali (che poi sono anche i vecchi), nascono esattamente come studi interdisciplinari. A spiegarlo con efficacia è Giovanna Vingelli, sociologa, che ci tiene a sottolineare come quegli studi nascano fuori dalle accademie, spesso troppo ingessate per accogliere eretiche riflessioni su uguaglianza, diritti e opportunità. Non è per nulla casuale che il titolo che Vingelli sceglie per il suo intervento sia  “Riflessioni indisciplinate sugli Studi di genere”. A parte l’assonanza fonetica tra interdisciplinare e indisciplinato, il gioco di parole non evoca solo la disobbedienza contenuta nella pratica degli Studi di genere, ma anche il loro essere stati a lungo fuori dai recinti disciplinari classici.

Un momento del confronto organizzato dal Dispes

La ragione è presto spiegata: gli Studi di genere sono letterari, psicologici, sociologici, etici, giuridici, antropologici e ovviamente politici, nascono cioè sin da subito con l’esigenza di esercitare uno sguardo diversificato per cogliere efficacemente le molte sfumature di un aspetto chiave della società e per attrezzarsi meglio possibile per arginare la cultura patriarcale. Ma non basta, perché forse la vera “eresia” degli sudi di genere sta nel rivendicare la natura politica della ricerca, l’assenza di ogni forma di supposta neutralità della scienza, la connotazione politica delle scelte.

Costruiremo la Moon base

Se sulla terra le cose vanno così, cioè se appare sempre maggiormente necessario uno sguardo interdisciplinare, nello spazio andare oltre i confini delle scienze è ancora più importante. Francesco Valentini è un fisico ed impegnato nella realizzazione di un ambizioso progetto, il Programma Artemis, cioè la realizzazione della la Moon base. La base lunare dalla quale si potrà partire per Marte. Un progetto che va oltre la fantascienza, ma implica questioni la cui portata è difficile da misurare.

«La Moon base non è solo una base abitabile da cui lanciarsi per mete più distanti, ma rappresenta il primo passo per lasciare la Terra», spiega Valentini. L’uomo cioè prende seriamente in considerazione l’idea di lasciare il proprio pianeta per andare alla scoperta di luoghi nuovi e ospitali.

La nuova ecologia applicata allo Spazio

I tempi sono lunghissimi, è evidente, ma i lavori sono già in corso e vedono l’Università della Calabria in prima fila nel contribuire al sogno, ma soprattutto il progetto davvero chiama a raccolta una molteplicità di studiosi differenti, perché i problemi che si annunciano sono di carattere interdisciplinare, «non solo, come è ovvio, ingegneri, fisici matematici, informatici, ma anche giuristi, filosofi, psicologi», spiega lo scienziato.

Occorrerà infatti capire quale impatto sulla società porterà l’idea di costruire altrove una colonia, sarà necessario ridefinire le regole giuridico- diplomatiche del gioco, servirà un nuovo concetto di ecologia applicata non più alla Terra, ma alla vastità dello spazio.

La Babele delle lingue delle discipline e l’unità del sapere

Un’opera ambiziosa, che gli Dei dell’Olimpo avrebbero forse visto come una forma di Hybris da punire e che pure il Dio biblico avrebbe castigato come fece con chi voleva costruire una torre così alta da raggiungere il cielo, cioè diversificando le lingue degli uomini. Di quella condanna non ci siamo liberati, ancora parliamo lingue differenti, che non sono gli idiomi degli uomini, ma le “grammatiche” delle discipline scientifiche, linguaggi specialistici che sono la conseguenza di conoscenze settoriali. Eppure Domenico Talia, docente di informatica, ci crede alla possibilità di cogliere quella che Franco Piperno chiamava «l’unità del sapere», l’andare oltre la miriade di linguaggi disciplinari. Dal suo punto di osservazione la soluzione viene dall’informatica, «ontologicamente interdisciplinare», per sua natura trasversale e pervasiva. Ce n’è abbastanza per sentirsi pionieri del superamento dei confini delle scienze, il «nuovo passo adesso –  annuncia Parini – è fare il punto e pensare a una pubblicazione».

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