Quando il ricordo diventa plurale, ampiamente condiviso dentro una comunità, allora si dà inizio a una memoria collettiva, una costruzione sociale che è la malta che tiene assieme le persone e riempie di senso le singole storie. Per questo il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Unical ha scelto la Memoria come tema dell’inaugurazione del nuovo anno accademico. Non una memoria qualunque, ma quella legata agli accadimenti che condussero alla Liberazione e dunque alla nascita della democrazia. Una Memoria che fin qui ha fatto da trama per un tessuto sociale cresciuto attorno ai valori resistenziali e della democrazia, ma che da qualche tempo appaiono sotto attacco, come senza infingimenti ha sottolineato Albertina Soliani, Presidente dell’Istituto A.Cervi e vicepresidente dell’Anpi e ospite della prima giornata dei lavori accademici.

Il valore della Memoria collettiva
La scelta del tema della Memoria ha consentito uno sguardo plurimo, che comprende quello propriamente sociologico, legato all’origine del ricordo come memoria sociale, ma pure l’aspetto storico – politico, che ci conduce in un vero e proprio viaggio dentro la Repubblica e infine il dato educativo, rappresentato dalla fondamentale trasmissione immateriale di valori ereditati dalla Liberazione, che dentro scuole e università dovrebbero essere vivi. Una specie di punto di osservazione trasversale, cui il Dispes è abituato, non solo perché «è per sua natura interdisciplinare», come ha detto il direttore Giap Parini, ma soprattutto perché da tempo e con successo è stato avviato un percorso di ricerca che chiama alla collaborazione studiosi provenienti da diverse aree scientifiche. Una scelta strategica condivisa e apprezzata dal nuovo Rettore, Gianluigi Greco, presente all’inaugurazione dell’anno accademico. Del resto Greco è stato in più occasioni protagonista dei seminari organizzati dal Dispes sulla necessità di avviare un dialogo interdisciplinare e i suoi contributi, in quelle occasioni, dimostrarono le potenzialità di una possibile coniugazione tra le “scienze dure” e quelle “molli”, tra chi crea l’Intelligenza artificiale e chi osserva il mondo attraverso la sensibilità sociologica.

Le eredità da salvare
Ma quante facce può avere la Memoria? Essenzialmente quelle delle cose passate e di cui abbiamo ricevuto l’eredità e Parini le elenca tutte, perché saranno i temi che si susseguiranno nel corso dei tre giorni di studio: l’eredità del pacifismo e dell’europeismo, dell’eguaglianza, della solidarietà, dell’arte e dello sviluppo. Insomma tutto quello di cui il mondo avrebbe bisogno.
E però per capire il senso di una memoria condivisa serve fare un passo indietro, partendo al ricordo soggettivo, che solo poi muta in patrimonio condiviso perché legato alla sfera pubblica. A condurre quasi per mano la platea della prima mattina di lavori in questo suggestivo cammino è stata la Lectio magistralis di Paolo Jedlowski, lungamente docente di Sociologia presso il Dispes, professore Emerito e sensibile osservatore del ruolo sociale della memoria.

Il ricordo di “Nino” Andreatta
Purtroppo però la memoria si scopre fragile. Le parole di Albertina Soliani sono dolenti e preoccupate. «La Memoria delle scelte che portarono a costruire la nostra identità» è in pericolo, spiega con fermezza la Presidente dell’Istituto Cervi. La sua voce è ferma, racconta dell’amicizia tra la famiglia Cervi e il partigiano calabrese Facio, spiega che oggi Memoria vuol dire «responsabilità» verso una storia di cui siamo figli ed eredi. La piccola donna che cura le pagine della resistenza si commuove solo quando, parlando dell’Unical, ricorda “Nino” Andreatta, primo Rettore e protagonista di un sogno, svelando che dalla sua Emilia si guardava verso la nostra nascente università come «una speranza per l’intero Paese» e pure questa è memoria.

La Ragione e la Forza
Cosa resti dell’eredità di chi ha messo le fondamenta della nostro Paese lo ha poi raccontato Francesco Raniolo, politologo, Coordinatore del Dottorato in Politica, Cultura e Sviluppo. Raniolo ha strappato il velo dell’ipocrisia dominante, che ci ha convinti che i tempi che abbiamo vissuto siano stati tempi cin cui la Ragione ha governato prevalendo sulla Forza, garantendo così pace e convivenza. Invece la Forza l’avevamo “esternalizzata”, affidando la soluzione dei conflitti ad altri. Oggi le cose, spiega il politologo sono mutate, i conflitti sono in casa e la Ragione arretra lasciando terreno all’uso pericoloso della Forza. Un motivo in più per coltivare la Memoria di ciò da cui proveniamo e avere cura del lascito di libertà che abbiamo avuto in dono.

