E infine, l’Oscar: ad Adrien Brody, come Miglior attore protagonista, che insieme al talento dell’uomo sancisce l’apoteosi definitiva del brutalismo. In realtà di Oscar il film ne ha presi altri due, per la miglior fotografia di Lol Crawley, e per la miglior colonna sonora originale di Daniel Blumberg, ma a noi basta il concetto. Che per chi diffida delle coincidenze, suggerisce un parallelo fra il riconoscimento cinematografico, e l’affermazione come corrente estetica di quello che era “semplicemente” uno stile architettonico. Al culmine di un’ascesa lunga una decina d’anni, e in un crescendo di like a milionate, distribuite fra le varianti hashtag più fantasiose, dal palco scintillante di Hollywood il brutalismo fa il suo ingresso ufficiale nell’empireo del mainstream.
E come per la turistificazione di quei posticini che per eccesso di passaparola diventano impraticabili, con la notorietà inizierà a svanire da oggi quell’aura di esclusività di massa che lo aveva reso un termine identitario. Anche per chi non ne sapeva molto di pensiero architettonico che riformula il lessico del costruire, ma bastava la pronuncia per sentirsi un passo avanti.
In realtà, esclusivo in senso proprio questo stile da futuribile distopico lo era, proprio per il fatto di essere nato con lo stigma della scostanza, certamente non facile da apprezzare. Il che obbliga ad interrogarsi su cosa ci sia di attraente in questo stile fattosi moda. Ed ecco che qui entra in gioco la solita fotografia, con il suo potere di mostrarti le cose per il loro lato migliore. Grazie ad una certa sapienza ruffiana, quella stessa artefice dell’instagrammizzazione dell’esistenza, la traduzione della realtà in pura forma-immagine ‘rende tollerabile persino la gastrite’, cantava Sergio Caputo.
Brutalismo, un crescendo editoriale
E così quel fascino dell’orrido, che da sempre ha fatto la fortuna di scrittori e registi, è giunto fino all’editoria, con la pubblicazione negli ultimi anni, e su scala planetaria, di alcuni volumi dedicati. Qui da noi, ad esempio, è di un paio d’anni fa “Brutalist Italy – Concrete Architecture from the Alps to the Mediterranean Sea”, ricerca di Roberto Conte e Stefano Perego che attraverso 12.000km e 150 foto tratteggia la mappa e al tempo stesso l’iconografia di questa architettura proveniente dagli anni ’50 del Novecento. Decisamente più ludica, con i suoi modelli in cartone pressato da assemblare che ricordano l’enciclopedia boomer ‘Il mio amico’ di Garzanti, è “Brutalia”, volume della polacca Zupagrafika dedicato anch’esso agli edifici patri.
L’effetto su carta patinata è certamente lontano dalla desiderabilità del reale quale luogo in cui vivere, come racconta la cronaca delle vele di Scampia, o del Corviale romano, e forse neanche dove riposare in eterno, sebbene un Guido Guidi rapito dal tratto di Carlo Scarpa abbia dedicato un intero libro alla tomba Brion, e Denis Villeneuve una citazione nel secondo capitolo di Dune.
Ma verrà l’obblio, anche se ancora non sappiamo che occhi avrà; di certo, dopo tanto celebrare, dovrà essere all’altezza di cotanto Oscar. E forse c’è già qualcuno che con l’AI sta immaginando queste strutture come novelle Angkor Vat inghiottite dalla natura…
Attilio Lauria