Dal Carosello al Brainrot, le vie infinite del comunicare

Immagini e stimoli visivi potenti e veloci, un flusso continuo che travolge e influenza le menti. Un gruppo di studenti dell'insegnamento di Comunicazione, Società e Pratiche digitali, tenuto dalla sociologa Olimpia Affuso, ha interpretato la tendenza del Brainrot svelando che non è solo moda, ma una nuova grammatica della comunicazione

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di Maria Pia Scilinguo, Giovanna Raso, Sabrina D’Alessandro, Maria Celeste Linardi, del corso di studio di Media e Società digitale

Ogni giorno siamo esposti a una valanga di informazioni, immagini, suoni e stimoli visivi che si rincorrono a velocità folle. In questo flusso continuo, si stanno formando nuovi modi di esprimersi, nuovi linguaggi, nuove abitudini. Uno dei fenomeni più evidenti – e discussi – è quello dei “Brainrot”. Questo termine nella sua accezione più generica si riferisce a vari fenomeni connessi alla dimensione digitale: dallo stare troppo tempo su social come Instagram, Tiktok e Youtube, in particolare consumando con “scrolling” compulsivo contenuti nonsense saturi di stimoli. Brainrot rimanda infatti alla sensazione di confusione e stordimento di cui gli utenti di queste piattaforme fanno esperianza in seguito a ore e ore di esposizione a contenuti brevi e straripanti di stimoli audiovisivi sconnessi tra loro.

Spegnere il cervello

Il fenomeno consiste in contenuti surreali, descrive ciò che “fa spegnere il cervello”, sono visivamente confusi o volutamente nonsense. Hanno uno stile che mescola ironia, estetica caotica (glitch, saturazioni estreme, montaggi rapidi). Si consumano in pochi secondi, fanno sorridere o spaesano, e poi spariscono, ma lasciano traccia nel linguaggio e nel modo in cui interagiamo online.

Esiste anche una “versione” italiana

 Di questo fenomeno esiste una declinazione italiana

 L’“Italian Brainrot” riprende la dimensione meme e nonsense, ma se i contenuti Brainrot più generici possono essere di qualsiasi forma possibile e immaginabile (l’importante è che non abbiano senso), la sua declinazione specificatamente italiana segue delle regole più precise: la presenza di creature generate con l’AI che ibridano elementi animali/umani e artificiali, ogni creatura ha nomi dal suono italiano che richiamano le caratteristiche della creatura stessa (Ballerina Cappuccina, Bombardiro Crocodilo), oppure nomi che non hanno nulla a che vedere con la caratteristica della creatura ma richiamano a espressioni foniche che più o meno rimangono in testa (Tralalero Tralalà, Brr Brr Patapim), ogni contenuto introduce i personaggi con transizioni visive fiammeggianti che agganciano l’utente già dai primi secondi, presenza di una voce narrante anch’essa generata con l’AI introduce prima il nome della chimera e poi dopo qualche rima prosegue a raccontare la storia del personaggio, presenza di espressioni verbali scurrili e bestemmie, musiche di sottofondo cantilenanti e ipnotiche riprese da altri media come film o altro. Caratteristica peculiare dei personaggi dell’Italian Brainrot è il fatto di racchiudere, nella loro caratterizzazione visiva, degli elementi che richiamano indirettamente a brand commerciali riconoscibili, come se fossero dei contenitori pubblicitari.

Carosello è stato un programma Rai degli anni sessanta che ha visto il contributo di attori e registi famosi

Come il Carosello, ma digitale

Qui, quasi prepotentemente, entra in gioco il ricordo e il confronto con il “Carosello”. Quel programma della Rai che sul finire degli anni cinquanta e poi a lungo nel tempo successivo è stato un contenitore di messaggi pubblicitari veicolati tramite cortometraggi, spesso realizzati da autori e registi importanti (Olmi, Leone, Fellini, i fratelli Taviani, Pontecorvo, per citarne alcuni) e interpretati da attori di straordinario valore. Esiste una sorta di ibrida continuità tra quel programma e i Brainrot quando questi diventano strumenti di marketing. Oggi i caroselli sono rappresentati da quelle sequenze scorrevoli di slide che troviamo su Instagram, TikTok, ecc,  sono uno dei formati più usati per comunicare la propria opinione oppure per vendere un prodotto. E i brainrot stanno entrando a gamba tesa anche qui e hanno dimostrato di funzionare catturando l’attenzione in mezzo a un feed pieno di roba.

Il fenomeno è ampiamente usato anche come strumento di pubblicità subliminale

Dal Carosello al Brainrot 

Inoltre, a differenza del Carosello “classico”, i cui diritti d’autore erano di proprietà unicamente dalla Rai, i contenuti Brainrot, essendo generati con mezzi accessibili a chiunque, hanno subito continue riappropriazioni da parte degli utenti delle piattaforme: ogni utente, infatti, ha la possibilità di prendere il personaggio che più preferisce, farlo interagire con altri, narrando nuove storie e generando nuovi contenuti Brainrot che potrebbero aumentare potenzialmente all’infinito.

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Oltre la parte propriamente legata al marketing, la caratteristica significativa dei Brainrot è  che in questi video si punta sempre sull’assurdo, su situazioni fuori dagli schemi e perturbanti.

Brainrot prestato alla satira

L’Ai prestata alla satira

Ci sono video che simulano servizi giornalistici improbabili, dove anziani si immergono in pozzanghere e ne escono con un aspetto diverso mentre la giornalista parla come se nulla fosse e poi d’improvviso si mette a correre. Vi sono poi anche delle varianti che giocano sulla satira politica, dove troviamo controllori o carabinieri che chiedono a passeggeri o autisti di fornire i documenti e questi rispondono “Voto Fratelli d’Italia e sono fascista” e le forze dell’ordine concludono con “Arrivederci, buona giornata”

Un fenomeno che rimodella le forme dalla comunicazione

 Il loro effetto non è solo estetico o stilistico, essi stanno modellando il nostro modo di prestare attenzione, di ricordare, di processare informazioni. Alimentano un consumo rapido e frammentato e anche se possono creare senso di appartenenza in piccole community online, rischiano di rendere difficile seguire discorsi complessi o ragionamenti più articolati. Questa trasformazione coinvolge anche il marketing, dove spesso la strategia punta più sull’effetto immediato che su una comunicazione approfondita.

Allo stesso tempo, i brainrot possono essere visti come una nuova forma di espressione: fluida, creativa, istantanea. Parlano il linguaggio del presente, della velocità e dell’ironia. Riflettono un bisogno di leggerezza e connessione, e possono servire come strumenti di identità e di relazione, soprattutto tra i più giovani. Anche nel marketing, se usati con intelligenza e autenticità, possono diventare strumenti efficaci, capaci di coinvolgere il pubblico e di raccontare un brand con un linguaggio che le persone riconoscono come proprio.

Oltre la moda, si afferma una forma diversa dell’uso della comunicazione digitale

Non solo una moda, ma un nuovo codice comunicativo

I brainrot non sono solo una moda, sono soprattutto un codice, una forma di linguaggio che molte persone (soprattutto più giovani) usano per riconoscersi, ridere, sfogarsi. Capirli non significa accettarli passivamente, ma riconoscere il loro impatto e imparare a gestirli come utenti, per non farci travolgere, come comunicatori per usarli con intelligenza, ma più di tutto  come società, per non perdere di vista ciò che conta davvero.

Solo così possiamo trasformare questi frammenti virali in strumenti di connessione vera e non solo di distrazione.

 

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