Cutro, Pasolini e una Calabria fuori dal tempo

Nel piccolo centro del Crotonese arrivò nel 1959; lo apostrofò «paese dei banditi». Fu coperto di insulti per queste parole, ma ci era abituato. Era PPP

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Nel 1959 Pier Paolo Pasolini attraversa l’Italia in macchina, una Fiat 1100 prestata da Federico Fellini. Non per un film, come in altre occasioni, ma per un reportage insieme al fotografo Paolo Di Paolo: La lunga strada di sabbia, pubblicato in tre puntate sulla rivista Successo (www.engramma.it/eOS/index.php?id_articolo=4179).

CALABRIA, PASOLINI A CUTRO «PAESE DEI BANDITI»

L’obiettivo è raccontare un Paese in trasformazione, dove il boom economico sta trasformando contadini in vacanzieri, e il mare in merce. Attraversa anche la Calabria e, tra tutte le tappe, ce n’è una destinata a rimanere nella memoria per le polemiche sollevate: si tratta di Cutro, che Pasolini descrive così: «Ecco, a un distendersi delle dune gialle, in una specie di altopiano, Cutro. Lo vedo correndo in macchina: ma è il luogo che più mi impressiona di tutto il viaggio. È, veramente, il paese dei banditi, come si vede in certi westerns. Ecco le donne dei banditi, ecco i figli dei banditi». Non serve molto di più per accendere la miccia. La stampa calabrese esplode di indignazione, il Comune di Cutro chiede scuse formali, e persino un deputato democristiano – un certo La Russa (bizzarri ritorni della storia) – alza il vessillo dell’«offesa al popolo calabrese».

L’attacco di certa stampa a Pasolini dopo le parole pronunciate dall’intellettuale su Cutro

IL PREMIO A CROTONE

La questione, naturalmente, non è solo letteraria: a venti chilometri di distanza, a Crotone, governa il Partito Comunista, mentre Cutro è democristiana fino al midollo. E così, quando a novembre Pasolini riceve il Premio Crotone per Una vita violenta, la polemica diventa scontro politico a cielo aperto.
Fedele al suo talento per infilarsi nei guai con grazia, Pasolini scrive una lettera aperta a Paese Sera, con il tono che gli riconosciamo, diretto, ironico, spietato: «I banditi mi sono molto simpatici. Quindi da parte mia non c’era la minima intenzione di offendere i calabresi e Cutro. […] Quanto alla miseria, non vedo perché ci sia da vergognarsene. Non è colpa vostra se siete poveri ma dei governi che si sono succeduti da secoli, fino a questo compreso».

Pier Paolo Pasolini incontra i giovani di Cutro

PASOLINI, CUTRO E UNA CALABRIA FUORI DAL TEMPO

Era un tentativo di spiegazione, ma anche un manifesto: Pasolini non accettava l’idea di “mettere il velo” sulla realtà. La Calabria del 1959 era povera, dura, fuori dal tempo, eppure, in un Paese che stava correndo verso la televisione, le vacanze in Riviera e la Fiat 600, dire la verità era già un atto di eresia.

Per altri versi, quel viaggio è una sorta di Viaggio in Italia al contrario, e se Goethe veniva a cercare la luce, Pasolini trova le ombre: dune ingiallite, coste vuote, volti segnati dalla fatica. Nel frattempo il turismo esplode, con gli italiani in vacanza che raddoppiano tra il 1959 e il 1965, rendendo così il reportage una doppia testimonianza, l’istantanea di un Paese che cambia, e l’addio a un mondo che scompare.
Quaranta anni dopo è Philippe Séclier a provare a rifare lo stesso viaggio, reportage pubblicato da Contrasto, e ancora nel 2024 ci pensa un tedesco, Michael Ernst, per un volume pubblicato da teNeus con foto di Paul Almasy.

Anche lui, nel percorrere sessantacinque anni dopo “la lunga strada di sabbia” passa da Cutro, scrivendo sulla Frankfurter Allgemeine: «Anche io mi sento come nella scenografia di un film western. Nessuno per strada, voci di uomini rumorose dietro una porta solo accostata, mentre si sporge il viso di una donna di almeno cento anni che chiude rapidamente la persiana quando mi vede guardare verso di lei. Non resterò un’ora in questo posto, anzi nemmeno mezza!». Come dire, la stessa impressione, sessantacinque anni dopo, di un luogo che non appartiene al presente.

CUTRO E LA SUA TRAGEDIA

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Nel frattempo, Cutro è tornata sulle pagine dei giornali, e non per una polemica letteraria, ma per una tragedia: la strage di migranti, novantaquattro morti, a Steccato di Cutro, nel febbraio 2023. Le stesse coste dove Pasolini vedeva i “banditi” sono diventate la frontiera del dolore di altri “banditi” del mondo contemporaneo.

C’è qualcosa di spaventosamente coerente in tutto questo. Se nel 1959 Pasolini veniva accusato di aver insultato la Calabria per averne descritto la povertà, nel 2023 quella stessa costa è teatro di un’altra forma di povertà, non più interna, ma globale.
Forse aveva ragione lui quando scriveva che «la realtà non si può velare» e che il compito di chi guarda, di chi viaggia, scrive o fotografa non è consolare, ma disturbare.
Sessantacinque anni dopo, la Calabria continua a essere un luogo che «impressiona», per usare le sue parole, solo che adesso, a impressionarci, non è più la parola “banditi”. È la realtà, nuda e disperata, che ancora ci assedia.

di Attilio Lauria

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