Cosenza colta e accogliente? Non per i viaggiatori

La doppia natura della città dei bruzi e dei suoi abitanti. Falsi, adulatori ma anche amanti del teatro. Le contraddizioni del passato che sembrano essere simili a quelle odierne

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Secondo alcuni studiosi un comune sentire ha sempre legato i cosentini differenziandoli dagli abitanti delle altre città meridionali. Differenza enfatizzata da alcune peculiarità come lo spirito indipendente, l’amore per la cultura e l’apertura nei confronti dello straniero. Piovene affermava che erano uomini «d’ingegno esatto», «rifuggivano dalle iperboli» e avevano spiccata attitudine alla filosofia: se Napoli vinceva in scintillio dialettico, Cosenza aveva un vigore speculativo essenziale.

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La Biblioteca civica in piazza XV marzo, sede della prestigiosa Accademia cosentina

Cosenza serva dei potenti

Nell’Ottocento, Arnoni definiva i suoi concittadini ombrosi nelle traversie della vita e «immaginosi» nei fausti avvenimenti, lietissimi nelle private e pubbliche gioie e cupi e permalosi nelle grandi sventure. Ricordava con dispiacere, inoltre, che pur avendo forti sentimenti religiosi, bestemmiavano frequentemente con «occhi di fuoco» il «Santudiavulu» e la «Madonna». Concludeva affermando che avevano una doppia natura e che bello e brutto, civile e selvaggio, tragico e grottesco, odio e amore, riso e pianto, fedeltà e tradimento, bacio sincero e assassinio a sangue freddo, si avvicendavano in loro senza posa.

Padula, di Acri, irrideva i Cosentini per la loro piaggeria verso i potenti e li rimproverava di non avere alcun senso del bene pubblico. In città vivevano buoni padri di famiglia, ma non cittadini. Nessuno trascurava la pulizia della propria casa, ma non ci si preoccupava di quella delle strade e tale grettezza era propria sia di chi aveva il cappello a cono che quello a cilindro. Egli catalogava i galantuomini della città in «curiosi», «vanitosi» e «importanti».

Faccendieri che ostentano amicizie importanti

Tutti, indistintamente, si ingegnavano per guadagnare l’amicizia, la confidenza e la protezione degli uomini di governo. I «curiosi», invece di apprendere le scienze, erano interessati alle notizie che arrivavano da Napoli e andavano a raccontarle agli amici per il piacere di sorprenderli. I «vanitosi» amavano far visita alle autorità, passeggiare con loro lungo il corso e andarci a teatro: il loro unico scopo era quello di ostentare l’amicizia col giudice, il generale e l’intendente. Gli «importanti» erano individui che frequentavano gli uomini potenti in modo da ottenere protezione e favori, faccendieri che a loro volta risolvevano problemi di ogni tipo in cambio di denaro.

Donne eleganti e uomini ardenti

Le impressioni sui cosentini degli stranieri che nel Settecento e nell’Ottocento giunsero in città sono spesso negative. È inutile precisare che molti di loro avevano uno sguardo etnocentrico, ma non dobbiamo pensare che il loro unico scopo era quello di manifestare disprezzo verso gente ritenuta inferiore e che tutto ciò che annotavano nei loro diari fosse frutto di malafede o fantasia usata a sostegno della loro cultura.
Bartels scriveva che, sia per le caratteristiche fisiche che per quelle morali, gli abitanti potevano considerarsi i diretti discendenti dei Bruzi.

Le donne, nonostante il colorito spento provocato dalla malaria, avevano eleganza nel portamento. Gli uomini erano forti, alti, robusti, con i capelli spessi e neri e uno sguardo ardente. Secondo la Lowe i cosentini erano molto avvenenti, gli uomini più belli che avesse mai visto e, probabilmente, era il freddo degli inverni a conferire loro quella freschezza quasi inglese. Anche Gissing, nel suo breve soggiorno in città, aveva notato fisionomie gradevoli e uomini pieni di carattere, doti che avrebbero potuto essere quelle dei Bruzi, loro fieri antenati. Egli notava, inoltre, che a differenza dei napoletani non amavano il chiasso, parlavano con lentezza e non molestavano gli stranieri.

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Emily Lowe, scrittrice e viaggiatrice britannica

I cosentini non erano colti e aperti

L’immagine dei cosentini aperti, colti e moderni non trova riscontro nei racconti dei viaggiatori. Bartels dipingeva una città in cui le donne erano totalmente sottomess. Non prendevano mai parte alle allegre tavolate e il loro compito era solo quello di cucinare e servire a tavola. Per Vom Rath i mariti erano molto gelosi, le occasioni di incontro tra uomini e donne erano rare, le danze quasi sconosciute e il «ballo tondo», in cui il cavaliere stringeva col braccio la dama, era oggetto della massima esecrazione. Didier raccontava che, nella famiglia cosentina presso cui era alloggiato, si rispettavano le antiche tradizioni patriarcali: a donne e bambini era vietato sedersi a tavola e così lui pranzava col capo famiglia e il figlio maggiore. Gissing confermava che a Cosenza, tranne le donne povere, era impossibile vederne per strada, poiché vigeva «un sistema orientale di reclusione».

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Lo scrittore e viaggiatore George Gissing

Il taccuino dei viaggiatori

I viaggiatori mettevano anche in discussione l’amore dei cosentini per l’indipendenza e la libertà della patria. Per De Custine erano tutt’altro che fieri: avevano il terrore dell’autorità e, dal mulattiere al barone, si adeguavano sempre ai nuovi padroni. Discendenti dei Bruzi, secondo de Rivarol, erano disposti a tutto pur di trarre un guadagno, non avevano un senso della lealtà e della morale, erano crudeli e insolenti con le vittime e vili e imploranti con i vincitori.

I cosentini erano spesso descritti come particolarmente furbi, capaci di grandi doti attoriali che sfruttavano a loro favore. De Custine li dipingeva come istrionici, «crispini» e «scapini» appena scesi dal palcoscenico e usciti dal teatro per continuare i loro lazzi in strada. Avevano la figura, il costume e lo spirito dei personaggi della commedia e lui si divertiva a spiarne le svagate furberie. Al momento di saldare il conto, l’oste di Strutt si distese su un letto dibattendosi e giurando che non poteva accettare un solo tornese in meno. L’inglese, dal canto suo, assicurava di non potergli dare un solo tornese in più e l’uomo con smorfie, strette di spalle e occhi semichiusi, continuò a tendere sconsolatamente la mano.

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Il viaggiatore francese Astolphe De Coustine

Amanti del teatro e dei vestiti alla moda

Questa abilità dei cittadini nel recitare, spiegava il loro amore verso il teatro, unico luogo di intrattenimento serale. La Lowe rimase colpita dal fatto che il pubblico conoscesse le arie a memoria: tutti canticchiavano come se volessero unirsi al coro. Anche Didier ebbe modo di notare che i cosentini amavano molto gli spettacoli e, andando a teatro, gli sembrò di essere tornato in Europa, siccome da quando era in Calabria si sentiva in Africa!
Gli stranieri notavano meravigliati l’attenzione che gli abitanti di Cosenza prestavano alla cura del proprio aspetto e del proprio abbigliamento. Didier rimase colpito nel vedere in un negozio i modelli del Journal des Modes di Parigi che stridevano nel contesto delle aspre montagne calabresi.

A differenza di altri luoghi le donne non si coprivano la testa col velo nero come monache e gli uomini non portavano il cappello a cono ornato di nastri. Anche Emily Lowe notava che i cosentini ci tenevano molto ad apparire eleganti. Gli uomini indossavano un cappello particolare e pochi si contentavano di averne meno di due, uno vecchio e uno nuovo, da usare a seconda del tempo e delle circostanze: a un rovescio d’acqua compariva il vecchio, col cielo azzurro o davanti a una ragazza carina, spuntava quello nuovo. Maurel scriveva che le donne, anche quelle dei ceti popolari, erano sempre ben vestite e si rammaricava di non averle potuto fotografare con la sua Kodak, sebbene la pellicola non sarebbe stata capace di rendere il vivo colore dei vestiti e i movimenti aggraziati del loro incedere.

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Il Teatro Rendano di Cosenza

Cosenza città sporca

I viaggiatori sottolineavano, tuttavia, che all’estrema cura della persona non corrispondeva quella per il decoro della città, descritta come particolarmente sporca e in abbandono. La struttura urbana appariva assai modesta, fatta da viuzze strette e ripide, alcune delle quali s’insinuavano al di sotto dei palazzi in portici tortuosi e bui. Questa trama edilizia monotona e povera era rotta, di tanto in tanto, da palazzi nobiliari di sobrie linee architettoniche, con ampi portoni e cortili.

Cosenza era talmente sudicia da «fare pietà». Per Maurel la città poteva essere meravigliosa solo se la si visitava senza fermarsi: nonostante un viaggiatore del ventesimo secolo fosse disposto a sacrificare alcuni comfort per soddisfare la sua sete di conoscenza, a tutto c’era un limite! Se si voleva sapere cos’era la sporcizia, bisognava visitare Cosenza. Egli era rimasto talmente sconvolto dal lerciume che lo circondava, da decidere di concludere la giornata in montagna, tra capre che gli sembravano profumate!

Parlavano troppo 

Altro aspetto che rimarcavano i viaggiatori sui cosentini era la loro eccessiva loquacità. Alcuni stranieri erano infastiditi di dover sopportare le chiacchere delle persone presso cui erano ospiti e dichiaravano apertamente che avrebbero fatto volentieri a meno di ascoltarle. De Tavel ricordava che i cittadini usavano tutta la loro astuzia se volevano persuadere qualcuno: le loro maniere diventavano striscianti e insinuanti e, se non si conosceva la perfidia di cui erano capaci, si rimaneva puntualmente beffati; dotati di grande talento nel giudicare il carattere delle persone, estremamente furbi e adulatori, non risparmiavano alcun mezzo per raggiungere i propri fini.

La doppiezza degli abitanti di Cosenza

De Custine stentava a comprendere l’atteggiamento dei suoi ospiti: erano allo stesso tempo gli uomini più falsi e più sinceri che avesse mai visto. Mentivano quando l’interesse lo esigeva e lo facevano con tanta sottigliezza e abilità che le loro falsità sembravano verità. Mostravano un’ingenuità disarmante che incuteva paura nel momento in cui si scopriva quanto fosse falsa e lontana dall’innocenza. Ogni volta che conversava con loro rimaneva confuso, non riuscendo ad afferrare cosa pensassero veramente; erano capaci di accusare un uomo e subito dopo di giustificarlo, di criticarne le azioni, aggiungendo che in fondo il suo scopo era lodevole. In altre parole, dopo aver dimostrato la meschinità di un uomo, ne diventavano gli avvocati difensori. Era praticamente impossibile per uno straniero riconoscere la sincerità in contraddizioni così artificiosamente combinate.

 

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