Il fascismo nel pallone: le oscure vittorie azzurre negli anni ’30

Il duce non amava il calcio. Tuttavia il regime giocò (e truccò) tutte le carte per trionfare ai Mondiali del '34 e del '38. Un'importante operazione verità nel libro del giornalista Giovanni Mari presentato a Reggio Calabria

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Calcio e fascismo. Ne parla un libro coraggioso di Giovanni Mari edito da Storie di People.
Già il titolo, Mondiali senza gloria, emette un giudizio senza attenuanti sulle vittorie della nazionale italiana di calcio ai Mondiali del ’34 e del ’38. È un argomento delicato, il Calcio nel nostro Paese. E lo è, in particolare, a proposito degli Azzurri, e se si avanzano, più che dubbi, certezze sulla bontà delle loro vittorie. L’assenza di gloria è un’affermazione secca, non è seguita da un punto interrogativo per mitigarla.

Calcio e fascismo: un affare di propaganda

D’altra parte Giovanni Mari – giornalista del Secolo XIX definito «appassionato di propaganda politica» – nella quarta di copertina, riempie molte delle 184 pagine del libro di informazioni in grado di dissolvere la nebbia che ha avvolto quelle vicende per tanto tempo.
Mari usa una documentazione vasta e “terza” rispetto a quella disponibile in Italia. Lo ha spiegato lui stesso rispondendo alle sollecitazioni di Ernesto Romeo, dell’Arci–Circolo Samarcanda, e di Giuliana Mangiola, presidente della Sezione Carlo Smuraglia dell’Anpi, organizzatori dell’incontro tenutosi a Reggio Calabria nei giorni scorsi.
L’autore ha consultato organi di stampa stranieri del tempo, proprio per non incappare nell’informazione pilotata dal regime fascista e da Mussolini in prima persona.

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La nazionale in nero ai Mondiali del ’38

La destra e il passato che non passa

Il libro prende spunto dal calcio per parlare di storia, di politica, di passato ma anche di presente. Infatti, è uscito prima della vittoria della Destra alle elezioni del 25 settembre.
Questa data segna l’inizio di una serie di atteggiamenti, dichiarazioni e i posizioni che hanno messo in luce il rifiuto di questo schieramento di fare finalmente i conti col passato. Al riguardo, l’ultima perla della premier è la dichiarazione della presidente del Consiglio sull’eccidio delle Fosse ardeatine, quando l’ineffabile Giorgia ha letteralmente riscritto la Storia catalogando semplicemente come Italiani, e non come antifascisti, ebrei, oppositori del regime, le 335 vittime della rappresaglia nazifascista.

Fascismo e calcio: tutto pur di vincere

Mari, d’altra parte, non fa sconti a nessuno. E in maniera senz’altro condivisibile denuncia come ascrivibile all’intero popolo italiano – con note e significative eccezioni – l’atteggiamento ambiguo, autoassolutorio, superficiale mostrato nei confronti del fascismo e dei suoi crimini a danno degli stessi italiani e dei Paesi che esso ha trovato sulla sua strada.


Grazie a una poderosa ricerca, l’autore ha verificato come per la manifestazione del ’34, tenutasi in Italia, sia stato attivato ogni strumento per obbedire al diktat del duce per ottenere prima l’organizzazione del torneo e dopo la vittoria azzurra:

• Garanzia di tolleranza zero sul fronte dell’ordine pubblico, dopo i problemi in Uruguay nel ’30, in continuità, d’altra parte, con quanto il regime aveva fatto fin dal suo avvento:
pressioni sugli altri contendenti;
• utilizzo di ingentissimi fondi pubblici, in una situazione pesante dal punto di vista economico, per ingraziarsi la Fifa e le altre federazioni;
corruzione dei designatori degli arbitri e degli arbitri stessi, che consentì ai calciatori italiani di praticare un gioco violento per eliminare gli avversari e di ottenere decisioni smaccatamente favorevoli durante le partite;
minacce ai giocatori maggiormente rappresentativi delle altre nazionali per non farli partecipare ad incontri decisivi;
• utilizzo di giocatori stranieri naturalizzati italiani in spregio alle regole fissate dalla Fifa.

Il duce e il pallone: un matrimonio d’interesse

Il trionfo del duce fu totale, e la stampa, sportiva e non, agì da megafono per lo strombazzamento che ne seguì, con i consueti cori a sostegno della tesi della superiorità dell’italica stirpe.
Inutile dire che questa tesi si trasferì presto dai campi di gioco a quelli di battaglia per essere clamorosamente smentita.

Mussolini in posa tra gli azzurri

Il duce, tra l’altro, non amava per niente il calcio. Semmai, era affascinato dagli sport olimpici e da quelli che riteneva nobili: boxe, scherma, tiro, ippica. E infatti il regime non inserì il pallone tra le pratiche obbligatorie.
Tuttavia, ne aveva intuito le potenzialità per dare ulteriore impulso all’irreggimentazione delle masse, loro sì malate di calcio, allora come ora.

Non solo calcio: il fascismo alle Olimpiadi

Mari racconta altre vicende oscure sono legate alle Olimpiadi del ’36, quelle di Berlino e delle vittorie in serie di Jesse Owens che ferirono Hitler.
L’Italia, che aveva aggirato il divieto di portare in Germania i professionisti facendo iscrivere all’università i giocatori più forti, vinse in finale contro l’Austria.
Quello stesso anno, Mussolini, oramai succube del suo vecchio seguace, subì senza fiatare l’Anschluss, dopo aver fatto per anni a paladino del Paese annesso. La scomparsa dal panorama calcistico del Wunderteam, la super squadra austriaca, fu digerita dal condottiero italiano nello stesso modo. Quindi l’Anschluss aveva eliminato anche una temibile concorrente per il ’38. Perciò il sogno di uno storico bis in Francia diventava verosimile.

Jesse Owens trionfa alle Olimpiadi di Berlino (1936)

«Vincere o morire»: i Mondiali del ’38

L’Italia, precisa Mari, a quel punto era una delle favorite perché oggettivamente ben attrezzata. Il clima però, era profondamente diverso: gli esuli italiani contestavano la loro stessa nazionale, che si presentava con una maglia nera col fascio littorio che, per visibilità, aveva soppiantato lo stemma sabaudo.
Era la nazionale del fascismo, fautore delle disgrazie loro e delle loro famiglie. Mussolini inviò, per la finale con l’Ungheria, un telegramma nel suo stile: «Vincere o morire».

Il c.t. ungherese interpretò queste parole affermando che, perdendo, avevano salvato la vita agli italiani e, probabilmente, anche a loro stessi.
«La vittoria mondiale dichiarava, secondo la comunicazione di regime, una indiscutibile e assoluta superiorità italiana, non tanto nel talento, ma nella costruzione stessa del successo e del genio umano», scrive Giovanni Mari.
E prosegue: «era la chiave che avrebbe portato l’Italia a occupare il posto che meritava nel consesso mondiale: se era stata capace nel pallone, poteva essere capace in qualsiasi campo».

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Arpad Weisz, l’allenatore del Bologna epurato in seguito alle leggi razziali

L’epurazione razziale colpisce il pallone

Il disastro era ormai dietro l’angolo, preceduto dalle leggi razziste che anche nel mondo del calcio fecero il loro sporco lavoro. Ne fece le spese, tra gli altri, l’allenatore ebreo ungherese Arpad Weisz, artefice di due scudetti del Bologna, deportato e morto ad Auschwitz insieme alla moglie e ai figli.
Il clima era quello che traspare da un brano de Il Calcio illustrato, secondo cui «che (gli allenatori israeliti stranieri danubiani) debbano fare le valigie entro sei mesi non ci rincresce: finiranno di vendere fumo con la loro arte imbonitoria propria della razza (…) La bonifica della razza avrà più che salutari conseguenze calcistiche».

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Il ct Vittorio Pozzo alza la Coppa Rimet dopo la vittoria ai Mondiali di Francia (1938)

La stampa supina

Chi sa di calcio, tuttavia, sa anche che proprio tali personaggi portarono la sapienza tattica e tecnica danubiana in Italia, con benefici ed innegabili effetti su tutto il movimento calcistico.
Il libro di Giovanni Mari è un’opera densa, non riassumibile in poche cartelle. Meritano attenzione le tante considerazioni di ordine generale che contiene. Ad esempio, sulla politica fascista (non solo) nello sport. Oppure sull’atteggiamento prono della stampa e di alcuni protagonisti per troppo tempo idolatrati (il c.t. Vittorio Pozzo e il telecronista Niccolò Carosio, in testa alla lista). E sulla continuità che ignobilmente contrassegnò il dopoguerra nel calcio e non solo.

Dittature e calcio dopo il fascismo

Il fascismo divenne, nella percezione collettiva, una parentesi sventurata, un cancro sviluppatosi in un corpo sostanzialmente sano.
La svolta fu determinata dall’alleanza con la Germania. Gli italiani erano “brava gente”, che non collaborò coi nazisti, o lo fece obtorto collo, nel progetto della Soluzione finale.

Il generale Videla premia la “sua” Argentina nei Mondiali del ’78

Non manca qualche interessante riflessione sull’utilizzo dello sport nei regimi autoritari in generale. Ad esempio, quelli comunisti, o di altri Paesi come l’Argentina di Videla o, da ultimo, il Qatar.
Un’opera importante, soprattutto in un periodo in cui il tema è tornato di stretta attualità, in cui il Governo e importanti pezzi dello Stato sono nelle mani di chi un giorno sì e l’altro pure alimenta, con parole e atti, una narrazione tesa a manipolare la Storia, o a negarla del tutto.

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