La storia della Società dei Santi, setta religiosa sviluppatasi a Bocchigliero nella metà dell’Ottocento, è sintomatica della complessità della religiosità popolare. Tutto ha origine con l’apparizione dell’Arcangelo Michele a un paesano che annuncia l’avvento di un nuovo mondo. Molti contadini, suggestionati dalla visione, si organizzano per attendere la venuta del Messia e dichiarano la nascita di una nuova religione in contrasto con quella predicata da preti corrotti e simoniaci.

Predicare tutti, predicare ovunque
In nome delle verità antiche, i Santi si rivolgono al tempo in cui la Chiesa era essenzialmente laica e i predicatori avevano un rapporto diretto con Dio. Matteo Renzo, Gabriele Donnici e la giovane Rachela Berardi sono ispirati direttamente dal Padre Eterno e le loro parole danno speranza, pacificano le anime inquiete e infondono una grande serenità. I Santi professano la predicazione libera di tutti e non ritengono necessario riunirsi nei luoghi consacrati poiché Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo.
Il profeta Matteo Renzo, come Gioacchino da Fiore, evoca l’andamento delle stagioni, il cielo e il mare, il giorno e la notte. Per simboleggiare la miseria cita l’inverno, periodo in cui gli uomini non lavorano e soffrono il freddo e la fame; per dare l’idea del benessere e della felicità, parla dell’estate, tempo dei raccolti e dei benefici raggi del sole. Come Gioacchino, pensa all’avvento di un nuovo mondo, alla nascita di uomini eletti e alla venuta di un novello Messia che sarebbe nato proprio a Bocchigliero, tra gli adepti della setta.

Il Messia a Bocchigliero
Il messia dei Santi somiglia a quello che aspettano gli Ebrei, popolo in cui si riconoscono, forse perché analoghe sono le attese per la realizzazione delle promesse di giustizia. E perché, come loro, oppressi e umiliati, cercano di riscattare la propria sottomissione sociale, politica e culturale. È probabile che la loro propensione per il giudaismo sia retaggio della presenza degli Ebrei in quel paese che, secondo Padula, porta un nome di chiara origine semitica. È interessante notare come molti adepti della setta si chiamino Matteo, Mosè, Giuditta, Rachele, Daniele, Giacobbe, Samuele, Giosuè, Ezechiele, Davide, Abramo, Gabriele e Abele.
Nell’attesa del Messia, i Santi auspicavano la nascita di un movimento religioso nuovo, quello dei Secolari, simile ai Santi Crociferi e alla Milizia dello Spirito Santo, profetizzati secoli prima da San Francesco di Paola. Gli adepti cominciano a vivere una vita da asceti, a mortificare il corpo e a praticare penitenze estenuanti. Si racconta che alcuni, con le braccia legate da funi, in bocca l’assenzio e in capo una corona di spine, si esponessero al freddo e al vento e praticassero rigorosi digiuni.

La coricata
Le penitenze non erano, però, sufficienti per la completa purificazione dei mali che abitavano nell’uomo: ira, ingordigia, avarizia, superbia e, soprattutto, lussuria. Il desiderio di purificare anima e corpo, spinge gli adepti della setta a teorizzare rigide forme di mortificazione carnale, a considerare il sesso come degradante e la verginità come fonte di santità. Essi iniziano a praticare il rito della coricata: per una intera notte uomini e donne nudi uniscono gli ombelichi – accucchiamu villicu e villico – e tentano di non eccitarsi per sconfiggere il diavolo – ppè scattare lu malu nimicu.
L’idea che ispira questo tipo di prova è semplice: il corpo dell’uomo è per natura corruttibile in quanto opera e proprietà di Satana, mentre l’anima è puro spirito incorruttibile perché opera e proprietà di Dio. Dio ha creato lo spirito e Satana la materia per imprigionarlo. I Santi credono, dunque, che per raggiungere la più completa purificazione bisogna liberarsi da ogni soggezione dalla materia; ottenendo la purezza e superando le differenze irriducibili come maschio e femmina, sarebbero diventati santi e ricongiungendosi a Dio avrebbero conquistato la vita eterna. Il nocciolo del loro impianto religioso è di natura gnostica: il corpo inteso come prigione dell’anima. Solo attraverso il distacco dai piaceri materiali e la mortificazione del corpo si giunge alla conoscenza e alla perfezione.
Asceti a Bocchigliero
È difficile stabilire come e quando il rito della coricata sia maturato nella setta. Può darsi che tale ritualità si sviluppò da aneddoti raccontati dai preti sulla vita di asceti, per esempio quello ricorrente della tentazione del demonio che si presenta sotto forma di avvenente fanciulla: San Francesco d’Assisi, per spegnere gli ardori sessuali, si rotolò nudo nella neve, San Francesco di Paola si immerse nelle freddissime acque del torrente Isca.
La ritualità della coricata è una radicalizzazione di metodi già sperimentati dai cristiani per resistere alla tentazione della carne. Secoli addietro alcuni fedeli si erano allontanati dalla comunità per vivere nel deserto o nei conventi, dove la battaglia contro fame e sete sarebbe stata molto più dura di quella contro il sesso. Per i Santi di Bocchigliero un rigido regime di vita o la solitudine estrema non sono sufficienti a frenare la passione carnale. Così, come gli Encratiti, praticano l’astinenza collettiva, in modo che l’individuo, sentendosi parte del gruppo, sia spinto ed aiutato ad osservare la castità.

Il figlio di San Giuseppe
I Santi furono accusati di vivere nel peccato poiché, con la scusa di sottoporsi a prove erotiche per raggiungere la purezza, praticavano il libero amore e la promiscuità sessuale. Fra le donne che rimasero incinte c’era la più stimata della setta, Maria Giuseppa Berardi e il padre del bambino era Matteo Renzo, detto san Giuseppe, colui che prima di ogni altro era riuscito ad ottenere il distacco dello spirito dal corpo. La giovane chiese all’amante di riparare l’onore perduto e di riconoscere il figlio, ma egli acconsentì solo dopo le minacce dei parenti di lei.
Le vergini di Bocchigliero
Non possiamo escludere che il rito della coricata o la convinzione che il messia dovesse nascere da una donna della setta fossero delle trovate per avere rapporti liberi. Tra la popolazione di Bocchigliero era diffusa la credenza che con la pietra agave, o pumiciosa, fosse possibile restituire la verginità alle donne e che consumare il matrimonio prima di sposarsi non fosse peccato perché il diavolo possedeva tutte le vergini in procinto di prendere marito.
Si trattava di stratagemmi per aggirare codici morali che impedivano i rapporti prematrimoniali o frutto di superstizioni radicate nella mentalità collettiva? Non abbiamo motivo di dubitare che la gente credesse sinceramente che il demonio deflorasse le fanciulle: in paese non c’era abitazione senza un’immagine apotropaica utile a scacciare gli spiriti maligni. Preti e laici accusavano i Santi di imprigionare il Diavolo che si trasformava in un gatto nero o in una bella donna, ma diversi religiosi erano specializzati nell’esorcizzarlo.

La Madonna carcerata
Le magie, le credenze, il delirio, l’autoesaltazione e la bizzarria dei Santi, denunciate come tali dai loro nemici, erano il risultato di una cultura religiosa antichissima, sopravvissuta nella comunità di Bocchigliero con la complicità della stessa Chiesa. In occasione della festa in onore della Madonna de Jesu, che si svolgeva due volte all’anno, la chiesetta della Riforma era affollata di gente che con devozione portava «mai», accendeva candele e lampade ad olio, cantava e salmodiava rosari, strisciava in ginocchio fino all’altare.
In occasione di tormente di neve, alluvioni o siccità, la stessa Madonna veniva, però, immediatamente trasferita dal suo altare e «carcerata» nella chiesa madre affinché allontanasse i pericoli dalla comunità. Il termine carcerare sta ad indicare proprio l’intenzione degli abitanti: la Vergine era prigioniera e restava lontana dalla sua chiesa sino a quando non avesse esaudito ciò che il popolo pretendeva. Grandi feste e grande devozione per la Madonna, dunque, ma anche disappunto e vendetta nel caso che non si comportasse adeguatamente!