Please don’t go piazza Kennedy: la Cosenza degli anni Novanta

Alfabeto minimo dell'ultima generazione cresciuta prima dell'era degli smartphone. Le file alla cabina telefonica, i luoghi, i film, la musica, i personaggi cittadini. Lo spirito di un decennio che sembra un secolo fa

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È sabato pomeriggio. Ci sono due ragazze abbracciate davanti all’obiettivo, sedute su un Sì Piaggio di colore blu. Fanno con le dita il segno della vittoria e profumano di Lulù de Cacharel. Sullo sfondo s’intravede Cosenza. Palazzo degli Uffici circondato dal traffico, le insegne verticali di negozi e agenzie di viaggi, gli autobus arancioni dell’Atac che fanno la gimcana tra le auto in doppia fila. Micidiale, questo è un tuffo negli anni ’90. È l’alfabeto minimo di una ragazza cresciuta negli anni Novanta.

A come aquile

Sono le “A” della scultura di Baccelli (che in realtà sono colombe nelle intenzioni dell’artista), simbolo di piazza Kennedy, la piazza di due generazioni di giovani cosentini. Il sabato sera era una bolgia, si parlava ininterrottamente, un brusio senza sosta, la vita che pulsava, seduti sui motorini parcheggiati, sui gradini, a terra, sul muretto. Uno scenario che i ragazzi di oggi non riuscirebbero neanche ad immaginare, senza schermi accesi e teste chinate, notifiche e storie.

Solo chiacchiere, ennesime sigarette, accendini Zippo che passavano da una mano all’altra. Qualcuno, il solito, che faceva la colletta: «Oh, ma soldi spicci?». Ognuno al suo posto perché ogni pezzetto della piazza segnava l’appartenenza a una tribù: il gruppo della farmacia Chetry, a via Mario Mari gli ultrà fuori e dentro le sale giochi (Matriarca, Number One e Romano), poi quelli della concessionaria e – i più grandi – sotto il monumento.

C’era addirittura chi aveva come riferimento una scritta sul muro, mentre per qualche tempo la piazza ebbe anche un bar eponimo. La piazza si divideva tra “borghesi” col Fay o col Barbour comprato da Mazzocca e “proletari”, quelli del centro sociale, con le borse colorate di Shiva Shop e gli anfibi militari (così originali che leggenda vuole che fossero stati sfilati ai soldati morti in guerra) presi ai mercatini di Lungo Crati.

B come bar

Non c’erano gli apericena, c’era la pizzetta doppia della pizzeria Romana con i suoi sgabelli altissimi e il rumore delle lame sulle teglie di alluminio. Il sabato era obbligatoria una puntatina al bar Mazzini o al Carbone (dietro il bancone c’era il mitico “zio Tonino”) per un cicchetto, una nuvoletta o un Angelo azzurro. La domenica mattina invece il bar era simbolo del vassoio di paste, ad esempio i cannoli alla crema di Cribari a piazza Loreto o lo zuccotto, poco più avanti, da Pedatella.

C come corso Mazzini

A Cosenza i ragazzi degli anni ’90 il sabato pomeriggio si davano appuntamento a piazza Fera, «sotto la E di farmacia Serra», alla fermata del Costabile. Hip hop e swatch al polso sincronizzati con il grande orologio sul display digitale della Cassa di Risparmio. Si ritrovavano e sciamavano verso corso Mazzini intasato dalle auto, altro che isola pedonale e museo all’aperto. Lungo il marciapiedi si respirava l’odore dei tubi di scappamento e le moquette dei negozi erano impregnate di fumo di sigarette.

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La cantante cosentina Flavia Fortunato

Davanti alla Banca Nazionale del Lavoro si sentiva sempre la musica melodica calabrese di un cantante di strada che si esibiva al microfono in cambio di qualche moneta. E Cintuzzo, con la sua cassetta di legno per l’elemosina, andava a rimorchio: «Mintaci ancuna cosa per Sant’Antonio». La scala mobile dei grandi Magazzini Bertucci (dove ora c’è H&M) scendeva e saliva. Sopra tra giacche e maglioni a collo alto, fattura tutta italiana, e sotto tra i mille profumi e le sfumature rosa delle ciprie di Guerlaine. In filodiffusione il jingle cantato dalla cosentina (fresca di Sanremo) Flavia Fortunato: «Bertucci, è tutta un’altra co-sa».

D come domenica

anni-novanta-akropolis-cosenza-i-calabresiLa domenica mattina l’appuntamento era fuori o dentro le chiese, poi il pranzo con i nonni, naturalmente lo stadio quando il Cosenza giocava in casa (era il decennio della ritrovata serie B), infine per digerire si andava a ballare all’Akropolis. La discoteca apriva di pomeriggio e fuori c’era la fila di avventori con in una mano i tagliandi for lady. Nell’altra – occultata sotto i giubbotti – la bottiglia di Gin. Mentre il remix di “Please don’t go” faceva ballare mezza Italia, il 20 febbraio del 1993 i Double You arrivavano scortati all’Akropolis: fu il delirio.

E come epoche

La toponomastica racconta anche la storia di una città e negli anni Novanta se qualcuno vi avesse chiesto di via Misasi o piazza Bilotti, rispondere sarebbe stato impossibile. Ma siccome ci si affeziona al suono delle parole, per noi ragazzi degli anni ’90 piazza Fera, corso d’Italia e via Roma non hanno mai cambiato nome.

F come filone

Quando si “tirava filone” si prendeva l’autobus numero 1, Campagnano-Prefettura-Campagnano, per poi infilarsi furtivamente nel Parco Robinson. Nei recinti c’erano ancora i pavoni e i cavalli. L’alternativa era la Villa vecchia, con i cornetti di pasta sfoglia tra i più buoni della città, a guardare le partite dei “filonari” del Telesio. Gli studenti del liceo classico, dentro, erano invece segregati, la ricreazione la facevano chiusi nel cortile sorvegliati dai bidelli. Che invidia per quelli del Fermi. Essendo nel centro città, a ricreazione avevano un quarto d’ora di libera uscita e – si narrava – potevano andare dove volevano.

G come giri

Non c’erano monopattini elettrici ma si potevano noleggiare gli scooter da Ottorino Gualtieri: un’ora di adrenalina e di trasgressione per tutti quelli a cui i genitori non compravano il motorino, magari alla Piaggio, la concessionaria si trovava dietro piazza Europa.

H come hamburger

I cugini dei cugini ci facevano sognare raccontandoci della vita degli universitari a Roma o Bologna, di Mc Donald e concertoni. Noi gustavamo il nostro panino “America” al Free Pub (hamburger, pomodoro, ketchup e senape) e ballavamo sotto il palco dell’Auditorium del Telesio con i 99 Posse (dicembre ‘93) e Casino Royale (giugno ‘95). A metà anni 90, in piena renaissance del centro storico, la movida si sposta su corso Telesio tra Irish Pub e Beat. Una parte della città fino a quel momento off limit diventa luogo di aggregazione e nasce il mito della città europea.

I come Incontri

Uno squillo: richiamami. Due squilli: sto uscendo di casa. I ragazzi degli anni ’90 facevano la fila alla cabina telefonica. Per le chiamate più lunghe c’era la Sip in zona Autostazione dove – la parola privacy non esisteva – si garantiva più intimità e con una tessera da 5mila lire la telefonata, se urbana, era interminabile. S’incontravano alla fermata dell’autobus o nelle villette. Quella di via Roma dove adesso c’è il parco inclusivo della Terra di Piero era un rettangolo di terra ed erba, non illuminato e mal frequentato, con un enorme serpente in cui ci si poteva nascondere per fumare di nascosto una sigaretta o scambiarsi baci furtivi.

L come Luna Park

Quando i costruttori non avevano ancora colto le sue potenzialità, via Panebianco era il posto giusto per il luna park, così grande (si installava nell’area che oggi ospita un hotel) che c’erano persino le montagne russe. Il massimo era riuscire ad avere i biglietti gratuiti che il negozio di scarpe Big Ben, tra gli sponsor, faceva avere ai clienti più fedeli.

Il tagadà, un must per i frequentatori dei luna park degli anni Ottanta e Novanta

M come mercatini

I più famosi erano quelli di Lungo Crati, dove potevi trovare di tutto. Per la bigiotteria e gli orologi c’erano le bancarelle intorno alla fontana di Giugno. Il leader indiscusso per fama e anzianità, fino alla fine degli anni ’90, è stato Ciccio u cravattaru. La novità arrivò a bordo di grandi pullman fatiscenti provenienti da lontano, con quello che veniva definito “il mercatino dei polacchi”, itinerante, ricco di oggetti giunti clandestinamente con la caduta dei regimi: preziosi memorabilia del Partito Comunista, orologi da tasca, binocoli, stampe e tagliacarte di ottone.

N come negozi

Dove adesso impera Scintille c’era Hit Shop, all’interno l’iconica scalinata con la fontana e tutte le griffe del momento, da Best Company a Versace. I jeans, rigorosamente Levi’s, si acquistavano da Corallino, con l’orlo che negli anni si accorciava sempre di più fino a lasciare il posto al risvoltino.

In un’epoca in cui i vestiti erano sempre di buona qualità abbondavano le mercerie: Pinto, Tagarelli, la Carmagnola, luoghi sovrabbondanti di bottoni e nastri, colori e profumi, in cui le nonne facevano scorta di aghi, rocchetti, uncinetti e toppe. Alla libreria Il Seme di piazza Loreto compravamo le biografie dei Duran Duran e degli Spandau Ballet, spartiti e plettri, i libri di scuola da Percacciuolo a corso d’Italia. Ma la “libreria” era solo la Domus, con il suo labirinto di scaffali di legno e all’ingresso il raccoglitore dei poster più ambiti, da sfogliare.

I regali di compleanno si sceglievano da Cose Così, con il lettering bubble nella mitica nuvoletta bianca. Non c’era coppia di innamorati che non si fosse scambiato un cuore o un peluche preso qui. Due piani di gioia pura, tra lampade, specchi e le delicate fantasie Naj-Oleari replicate su borse, portafogli, cerchietti, portachiavi.

Le camerette poi, erano piene di oggetti acquistati da Famele, Chiappetta, Chiarello, Ianni: le cartolerie, luoghi del cuore di chi ha vissuto i ‘90. Felponi, accessori sportivi e attrezzatura per sciare erano da KamaSport, Alfieri e Montalto. I giocattoli più belli al Fagiolo magico su via Alimena. Le scarpe le compravamo da Spadafora, Forgione Rosso e Forgione Blu (a cui si è aggiunto Forgione Più per l’abbigliamento) ma i più arditi volevano le Cult, quelle con la punta di ferro. Il franchising Energie, a piazza Kennedy, fu tra i primi a mettere la musica a palla e a tenere le porte sempre aperte, bastava poco per ricreare, vagamente, l’atmosfera londinese.

Le immancabili
Cult con la punta di ferro

O come offese

“Dietro le poste” era la perifrasi utilizzata per offendere o prendersi in giro, facendo riferimento alle prostitute in attesa di clienti a piazza Crispi. E da lì partiva il puttan tour dei giovani cosentini quando per strada non c’era più niente da fare. Passava dalla Villa Nuova davanti alle macchine parcheggiate con i fari accesi e si spingeva – superate le forche caudine del ponticello a S all’inizio di via XXIV Maggio – fino a via Popilia, dalla mitica “Felicetta” nella casupola che oggi ha lasciato il posto alla rotatoria a favore di discount, all’ombra del ponte di Calatrava. A quel punto i più intrepidi osavano varcare ogni confine lecito. Arrivavano a Gergeri, fino a vedere i fuochi accesi nei bidoni davanti alle baracche dove vivevano le famiglie rom in seguito trasferite nel Villaggio di via degli Stadi.

P come pizze e panini

Quando piazza Kennedy si svuotava, il sabato più classico delle comitive era al Free Pub (vai alla lettera H), con birra, panino e VideoMusic. In alternativa c’era la pizza della Luna Rossa in zona Tribunale o della Sfinge per chi si muoveva a piedi e si impossessava della città. Stella e Black Orchid su via Molinella si contendevano il popolo della notte.

Da Stella, Maurizio e i suoi fratelli sfornavano panini multistrato farcitissimi e il mitico “primavera” (mozzarella pomodoro e insalata) e si finiva a parlare per ore e ore. Il rito del sabato sera prevedeva un’altra tappa, per i più piccoli l’ultima prima di tornare a casa. La Casa del Gelato e del Frullato, «Ciao raga’», ad accoglierli il sorriso buono del titolare e il suo vocione, era un amico dei ragazzi.

Storico adesivo del Free Pub

Seduti ai tavolini si ordinava Banana split o un frullato che oggi chiameremmo frappè, ma c’era la frutta vera esposta al banco, niente polverine. Chi non era qui era alla Cornetteria di piazza dei Bruzi a scegliere tra tanti gusti la novità black and white. La pizza con i genitori o per le feste di famiglia era da Frank a Saporito, Quelli della pizza a Mendicino e Blade Runner a Castrolibero. Fuori dal centro la tappa più gettonata – magari dopo una sosta all’Ipanema per un Barone Rosso o un Angelo Azzurro – era all’Apocalisse, con le interminabili partite con le torri di legno innaffiate da pinte di birra alla spina.

Marco “Bamba” versione Punk

Tornando a Cosenza, da menzionare è la breve ma felice stagione della “Bamba” di Marco e Sonia, erano giovani e innamorati e il loro era il locale più originale del centro (via Galliano). Nei pomeriggi lenti di una città che offriva pochissimo ai ragazzi, c’erano il juke box e i giochi da tavolo e si potevano gustare tisane e piadine in stile romagnolo.

Nuovi gusti per una generazione pronta a sperimentare anche nel cibo e che ha poi scoperto l’esistenza della soia solo quando su via Alimena è comparsa l’insegna rossa del ristorante cinese, con le sue tavole rotonde su cui, portata dopo portata, ci si ritrovava a fine cena satolli e solo un fondino di grappa alla rosa salvava.

Q come quaglie

Il soggetto della scultura commissionata a Baccelli agli inizi degli anni ’70 per piazza Kennedy (il luogo rievocava l’impegno pacifista del leader americano) sono le colombe, da cui il nome dell’opera. Ma nella vulgata gli uccelli sono sempre stati indicati come quaglie, forse a causa dell’eccessiva stilizzazione operata dall’artista. O per sminuirne il valore.

R come radio

Il decennio 1990-2000 si è aperto con l’occupazione del cinema Italia e con la fondazione di Radio Ciroma e poi del centro sociale Gramna. Tutto in pochi mesi. La radio era la colonna sonora dei pomeriggi degli adolescenti. Lo stereo sintonizzato sulle stazioni locali: Radio Cosenza Nord, Radio Sound, Radio Queen, in attesa del momento juke-box, quello in cui si poteva richiedere un brano. Il numero di telefono? Quello di Radio Sound, grazie a un fortunato jingle. L’avevamo sempre in testa: «La musica che vuoi ascoltala con noi…7-3-0-8-4, uh!» (il prefisso divenne obbligatorio in seguito). Iguana Disco Shop, Orfeo e Piro Dischi erano le tappe irrinunciabili in un’epoca in cui la musica si comprava e vinili, cd e musicassette erano pane quotidiano.

Francesco “u dutture” Febbraio a Radio Ciroma con Oreste Scalzone

S come stampe

Le foto si stampavano, si attaccavano sul diario, sui muri della camera, si raccoglievano nei portafotografie. Raf Caputo, Centro foto meridionale, Restivo erano alcuni dei punti in cui consegnare i rullini da 12, 24 e 36 foto. Dopo qualche giorno la busta Kodak era pronta, con il suo carico di emozione e curiosità e l’odore inconfondibile dei negativi.

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Lo storico fotografo cosentino Raf Caputo, scomparso pochi anni fa

T come Totonno lo squalo

“A Juventus è morta!” gridava spalancando la bocca. La giacca lisa, la mano tesa per chiedere i soldi spicci per un panino. È morto a Corigliano nel 2006 ma è stato per tanti anni una maschera (sdentata) della città. E oggi continua a vivere nella memoria dei cosentini: il suo volto, qualche anno fa, è stato impresso su un murales – purtroppo danneggiato dal tempo – realizzato dal Collettivo Fx sulle pareti del centro sociale Rialzo.

Insieme a lui restano nei nostri cuori anche il Generale (il soprannome dovuto alla sua giacca militare costellata di medaglie) col suo braccio destro alzato nel saluto (solo immaginato) al Duce e Alberto, presenza fissa su corso Mazzini, la sigaretta accesa sempre incollata alle labbra e la voglia di lasciarsi andare e ballare, ballare.

U come The Usual Suspect

I Soliti sospetti (1995), il film amatissimo – è ancora un cult – eppure in quel decennio oscurato da almeno altri due titoli forse più generazionali come Pulp fiction (1994) e Trainspotting (1996) poteva regalare emozioni nelle case dei ragazzi dei Novanta: una volta visti al cinema (niente multisale) si andava di Vhs. Dopo scelte che potevano durare ore davanti alle pareti piene di custodie da consultare per la lettura delle trame, le videocassette si noleggiavano da Only One a corso d’Italia (vedi lettera E). O, più tardi, da Blockbuster a via Panebianco, antro magico che ebbe tra i meriti quello di farci scoprire i gelati Haagen-Dasz.

V come veglioni

Le feste più “in” erano al Garden Club e allo Sporting Club. Luoghi eletti anche per i veglioni di Capodanno insieme al Cinema Garden e al Timer, la sala ricevimenti che si trovava sulla strada per Sant’Agostino e aveva imbroccato la strada fruttuosa delle feste a inviti. Boccoli, molto velluto, calze velatissime, le ragazze degli anni ’90 arrivavano all’appuntamento solo dopo essere state dal parrucchiere e con un outfit impeccabile. Peccato, erano i tempi in cui si poteva fumare anche nei locali e si arrivava alla fine della festa senza scarpe e completamente sfatte. Sì, esattamente come succede oggi.

Z come Zorro

Il gelato? Almeno tre opzioni tutte da provare: lo storico Zorro, bar Mary e Dante Gelo a Rende. Quanto di più distante dalle mousse pannose e burrose dei nostri giorni, che forse hanno bisogno di dolcezze surrogate.

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