Come le liturgie laiche di ogni giorno, anche i riti “santi” hanno subìto con la pandemia una sospensione e non saranno certamente più gli stessi. Ora, dopo due anni di stop, stanno per riprendere. Ma sono già al centro di decisioni discutibili e immancabili polemiche. È una questione di simboli, soprattutto, e di sentimenti. I riti della Settimana Santa in Calabria ne sono pieni. Sono tantissimi e chi ci crede li vive con una dose di pathos a volte eccessiva, ma direttamente proporzionale allo scetticismo – non di rado fondato sul pregiudizio – di chi non ci crede.

Tra fede e teatralità, le manifestazioni religiose pubbliche sono sempre state occasione per definire e ribadire rapporti di potere reali. Da ben prima che esistesse la ‘ndrangheta, che ne ha poi fatto uso per ostentare il suo dominio. E questi riti sono anche occasioni in cui, attraverso la drammatizzazione, le comunità mettono in scena se stesse, rivelando dinamiche interne che normalmente sono nascoste, tacite o sopite.
Affruntata di Calabria
Uno dei riti più diffusi, nella Calabria centrale e meridionale, è quello delle Affruntate. Tra Catanzarese, Vibonese e Reggino ce ne sono diverse con varianti notevoli. Cambiano nomi e dettagli di contesto: Cumprunta, Cunfruntata, Svilata, ‘Ncrinata a Dasà (dove si fa il martedì, mentre nella vicina Arena il lunedì). A Bagnara invece pare fosse l’unica festa in cui le due congreghe non litigavano. Ma i protagonisti del rito sono quasi sempre gli stessi: i simulacri della Madonna Addolorata, di San Giovanni evangelista e del Cristo risorto, a cui in alcuni paesi si aggiungono altre figure evangeliche, come la Maddalena o gli angeli.
È la rappresentazione dell’incontro, preannunciato da San Giovanni, tra la Madre e il Figlio resuscitato. Con una forte componente simbolica che richiama la dinamica tra ordine divino e umano, la lotta tra la morte e la vita. Il rito è probabilmente collegabile alle “sacre rappresentazioni” del Medioevo e del Cinquecento, anche se in molti centri è arrivato nella seconda metà dell’Ottocento. Vi si riscontrano analogie con le liturgie della Settimana Santa della Sicilia, di Malta e di alcune regioni della Spagna.
Più di tre secoli fa uno dei più noti e accreditati storici della Calabria seicentesca, Padre Giovanni Fiore da Cropani, raccontava stupito in Della Calabria Illustrata come, la domenica di Pasqua, «si accresce la festa nella città di Gerace con una processione di mattina col concorso di quasi tutta la città, e l’uno e l’altro clero secolare e regolare, nella quale con mirabile artificio s’incontrano insieme la Vergine da lutto con Cristo Sagramentato: al cui incontro svestita la Madre de’ suoi lutti, adora il suo carissimo Figliuolo: incontro qual riempie di molta tenerezza d’affetto i circostanti».
Vangeli canonici e apocrifi
Fiore da Cropani è stato citato dallo studioso e missionario scalabriniano Maffeo Pretto che, con La pietà popolare in Calabria, ha tentato una ricostruzione resa difficile dall’impossibilità «di tracciare una storia documentata» dell’Affruntata. I vangeli canonici, infatti, non fanno riferimento all’incontro di Cristo risorto con la Madre. Se ne fa invece menzione nei vangeli apocrifi. Pretto cita, in particolare, il Vangelo di Gamaliele – e poi c’è la liturgia pasquale bizantina in cui ricorre la seconda annunciazione. Infine Pretto ricorda l’uso dei gesuiti di tenere delle recite nelle piazze durante le processioni, chiedendosi se l’Affruntata non sia sorta in tale contesto.
È certamente fondamentale il ruolo dei portantini. Sono loro a dover raccontare, unicamente con i gesti perché si tratta di una processione “muta”, l’ansia dell’attesa, l’incredulità iniziale, la “pasqua” che esplode quando Maria viene “svelata” dal manto nero e si mostra nel bianco (o azzurro) della Resurrezione.
Affruntata: la processione annullata dal vescovo a Stefanaconi e Sant’Onofrio
Sant’Onofrio e Stefanaconi, due piccoli centri alle porte di Vibo, sono finiti nel 2014 sulle prime pagine nazionali perché le autorità civili decisero, a causa della presenza di presunti affiliati alle ‘ndrine tra i portatori delle statue, di affidare questo compito ai volontari della Protezione civile. Decisione accettata, malvolentieri, dai fedeli di Stefanaconi. Rigettata, invece, dalla comunità di Sant’Onofrio che, d’accordo con il vescovo e il parroco dell’epoca, preferì annullare del tutto la processione.
L’Affruntata “replicata” in Piemonte
Non era mai successo prima, mentre nel 2010, sempre a Sant’Onofrio, il rito subì un rinvio di una settimana dopo che la porta di casa del priore dell’arciconfraternita che lo organizza era stata presa a pistolettate. Il pentito Andrea Mantella racconta che l’Affruntata si faceva anche a Carmagnola perché lì sarebbe stata attiva una succursale piemontese del clan Bonavota. Proprio un loro uomo, in passato, avrebbe presieduto il comitato organizzatore. La comunità santonofrese si è però poi riappropriata della sua tradizione. Ora sembra risanata rispetto alle vicende negative degli anni passati.
La presenza delle cosche nelle processioni
Al di là dei singoli casi, il fenomeno a cui ricondurle non è certamente nuovo. La ‘ndrangheta ha affermato la sua forza solo nel secolo scorso. E la presenza delle cosche in questi riti non è che il riflesso del loro dominio reale sul territorio. Le manifestazioni di religiosità popolare, invece, detengono un potenziale “propagandistico” che i potenti di turno sfruttano da sempre per manifestare la propria superiorità. La spiritualità, anche nelle sue manifestazioni folkloriche è dunque, storicamente, un vero e proprio instrumentum regni.
La “missa alla ‘mberza” a Serra San Bruno
Un elemento costitutivo di certi riti è poi la loro fisicità. A Serra San Bruno, per esempio, dopo una funzione chiamata missa alla ‘mberza – non una vera e propria messa, bensì una liturgia in cui all’adorazione della croce seguono le letture e l’Eucaristia – il Venerdì Santo c’è il rito della Schiovazziuoni. Si tratta della rappresentazione della deposizione di Cristo morto. I confratelli dell’arciconfraternita dell’Addolorata liberano materialmente dai chiodi la stautua e la depongono dalla croce. Adgiano poi Cristo sulla naca, che ogni anno ha un allestimento ornamentale diverso da cui dipende molto del prestigio del priore in carica, e lo portano in processione il sabato mattina.

Stop ai Vattienti di Nocera Terinese
Ancora più corporea è la tradizione dei Vattienti di Nocera Terinese – simile ai Battenti di Verbicaro – la cui origine si fa risalire almeno agli inizi del XVII secolo. Un corteo di uomini segue la statua raffigurante la madre di Cristo e alcuni di loro si flagellano le gambe con il “cardo” e la “rosa”, pezzi di sughero su cui si conficcano dei vetri. I vattienti «inevitabilmente iniziano a sanguinare e con il sangue vengono macchiate le mura e le porte delle case attraversate dalla processione».
Non sono parole di uno storico locale. È un passaggio dell’ordinanza dei commissari che guidano il Comune di Nocera Terinese. Un Comune sciolto per mafia dopo l’inchiesta “Alibante”. I commissari hanno vietato il rito valutandone le modalità «in assoluto contrasto con le primarie esigenze di tutela della salute pubblica e salubrità dell’ambiente, unitamente alla notoria attrazione alla manifestazione di un considerevole flusso di persone».
Si può immaginare il disappunto della comunità che deve rinunciare alla cruenta tradizione anche quando lo stato di emergenza Covid si è concluso. È però nelle prerogative dei commissari – che assumono le competenze di sindaco, giunta e consiglio – prendere simili decisioni. E si può immaginare anche quanto un ligio funzionario prefettizio possa essere poco sensibile – e poco propenso ad assumersene la responsabilità – alle dinamiche collettive che stanno davanti e dietro al rito, nonché alle relazioni che vi si intrecciano intorno.
Il dolce lungo 500 metri a Siderno
A Siderno, riporta il Reggino.it, a causa dei contagi da Covid sono saltate tutte le celebrazioni civili e religiose, compresa la preparazione della Sguta di Pasquetta, un dolce che nella città della Locride ha raggiunto nel 2019 il record di lunghezza: 537 metri e 92 centimetri certificati da un notaio, con conferma di un posto nel Guinness dei primati. A Caulonia invece l’arciconfraternita dell’Immacolata ha deciso di non far portare le “sue” statue in processione perché la chiesa ricade in un’area interdetta per rischio idrogeologico e l’accordo col Comune per un «corridoio sicuro» è saltato.
Il vescovo di Cosenza contro «balletti di statue e santi»
Fede e potere, insomma, non sempre vanno a braccetto. E ci vuole una buona dose di coraggio per chi nella Chiesa – e sono in molti anche nelle alte sfere – cerca di lasciarsi alle spalle alcune usanze dai contorni piuttosto pagani. Certamente ne ha avuto parecchio un prete siciliano, il parroco di Ribera Antonio Nuara. Ha proposto su Facebook di «abolire tutte le processioni» che si svolgono dalle sue parti. Forse più facile la provocazione dell’arcivescovo metropolita di Cosenza-Bisignano, Francescantonio Nolè, che intervistato da LaC ha sentenziato – evidentemente con qualche ragione – che «la fede vera non ha bisogno di balletti tra statue dei santi». Nel suo territorio però non si segnalano Affruntate.